07 ottobre 2006

Materiali - Lab. 5 - Debriefing Psicologico

IL DEBRIEFING PSICOLOGICO

Il Debriefing psicologico, considerato uno strumento-principe della psicologia dell'emergenza, è stato preso in considerazione nel Laboratorio attraverso testimonianze dirette della sua applicazione in contesti di emergenza.
Ideato nel 1983 da Jeff Mitchell (psicologo ed ex-pompiere statunitense) all'interno di un modello di gestione dello stress da incidenti critici, il Debriefing psicologico, che rappresentava una piccola parte dell'intervento studiato a sostegno delle squadre di soccorritori nel post-emergenza, si è rapidamente diffuso a livello internazionale assurgendo - di per sé – a strumento di pronto soccorso psicologico valido anche per le vittime.

Apparentemente di facile applicazione per la sua procedura standardizzata, il suo uso indiscriminato nei contesti più disparati ha indotto la comunità scientifica, specialmente in ambito europeo, a rivederlo criticamente ponendo attenzione più che al rispetto della rigida sequenza procedurale alla comprensione dei processi dinamici che nel corso del Debriefing scaturiscono dal gruppo.

Nel Laboratorio, dal confronto tra esperienze sul campo è emersa la raccomandazione di inserire sempre e comunque il Debriefing psicologico all'interno di un programma più generale di intervento sulla crisi, considerandolo un anello della catena del soccorso psicologico e psico-sociale. E' emersa anche, in linea di massima, la sua validità come strumento di sostegno non routinario a squadre omogenee - cioè con pari grado di esposizione al trauma - di soccorritori, per informare i partecipanti sui possibili effetti dell'impatto con eventi gravemente stressanti, accomunarli ed accoglierli in uno spazio di ascolto, permettere loro di condividere e metabolizzare le emozioni.

Per quanto riguarda invece la sua applicazione su gruppi di vittime di eventi critici, sulla base delle testimonianze presentate nonché della vasta letteratura sull'argomento si è raccomandata grande prudenza, poiché i fattori in gioco - rispetto ai gruppi strutturati di soccorritori - sono molto più numerosi e più complessi.

Prioritaria deve essere l'analisi dei bisogni della comunità colpita e della fase in cui si interviene, la consapevolezza del contesto esterno in cui si va ad operare nonché di quello interno entro il quale si opera in quanto psicologi dell'emergenza (per quale organizzazione o istituzione? con quale programma? con che tempi?).
Ma se l'intervento di Debriefing psicologico su un gruppo omogeneo di vittime sarà valutato opportuno e garantito il suo successivo “follow-up”, lo psicologo dell'emergenza avrà a disposizione uno strumento importante per ridurre l'impatto emotivo dell'evento attraverso le parole, “normalizzare” le reazioni acute da stress con l'informazione e il confronto, far intravvedere la possibilità di superare le modalità di pura sopravvivenza dovute alla crisi per ripristinare le normali attività antecedenti.

Ci sarà anche l'occasione di monitorare in modo indiretto i casi di disagio più grave, che potrebbero necessitare di una presa in carico individuale.
In più, con il Debriefing psicologico ci sarà l'opportunità per chi si ritrova “vittima” di dare un senso all'esperienza traumatica anche attraverso l'appartenenza al gruppo, per lo psicologo dell'emergenza di creare uno spazio di ascolto che possa ridare ad ogni “vittima” il suo status di persona, membro della comunità.

Isabella De Giorgi

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