26 gennaio 2008

Il Giorno della Memoria

Tra poche ore, inizia il Giorno della Memoria, dedicato al ricordo della Shoah.

Uno dei grandi traumi collettivi della storia del secolo scorso, uno dei più grandi eventi genocidari della storia dell'umanità. Non è stato il primo, non è stato l'ultimo; di certo è divenuto l'epitome dei più agghiaccianti.

Gli eventi genocidari sono eventi talmente "altri", così criteriati da una distruttività assoluta che, a qualunque latitudine ed in qualunque tempo avvengano, mettono in scacco la stessa possibilità di significazione di chi vi è immerso; ed è forse proprio per una disperata, umanissima, reazione a tutto questo che, nell'heart of darkness di Dachau ed Auschwitz, Viktor Frankl ha saputo (o ha avuto bisogno) di creare lo spazio di pensiero che lo portò poi a scrivere "Uno psicologo nei Lager", da cui si sviluppò tutta la sua Logoterapia, intesa come "psicologia della ricerca del significato".

Proprio lì dove il "senso degli eventi e delle relazioni" era perso, dove il "significato" come categoria stessa del possibile sembrava perdere di consistenza... il bisogno di un "Senso" è emerso in tutta la sua disperata necessità. E' il "significato" (o meglio, "la speranza di poter dare un significato") che tiene psicologicamente vivi gli esseri umani che devono vivere le condizioni più estreme.

E quando ci si trova davanti a persone che hanno vissuto le conseguenze di eventi di questo tipo, il radicale bisogno di un significato è forte anche per noi... dobbiamo mantenere viva in noi la speranza di poter costruire un significato di ciò che sembra non averne, affinchè, poi, si possa cercare di aiutare i nostri interlocutori a ricostruire e sviluppare dentro di sè il proprio significato.

Un intelligente tentativo in questa direzione è quello dei colleghi di Vivo Foundation, che portano avanti con competenza e serietà un lavoro molto difficile, in situazioni spesso ai limiti dell'"assenza di senso": ridare un'occasione per provare a costruire un significato su quanto accaduto è allora l'atto terapeutico più importante che si possa fare.

Luca Pezzullo

08 gennaio 2008

Alcune news dalla letteratura internazionale...

Buon anno a tutti...!

Mentre continuo a mettere a punto la "google customization" per la psicologia dell'emergenza e la psicotraumatologia (il "motore di ricerca" focalizzato sull'emergenza), riprendo con alcune "pillole" tratte dai più recenti articoli nella letteratura di ricerca internazionale.

1) Sintomi ad esordio ritardato nei PTSD bellici. Una recente review del NCPTSD ha evidenziato come gli screening sintomatologici immediati post-deployement (ovvero, subito dopo il rientro dallo scenario operativo) tendano a sottostimare l'incidenza di sintomatologie post-traumatiche nei veterani militari. Il problema può essere di particolare rilevanza per tutti i paesi che hanno contingenti militari all'estero, ed utilizzano esclusivamente forme di screening nella prima fase di ricondizionamento al rientro dal teatro operativo. Maggiori informazioni qui.

2) Terapie di coppia per veterani con disturbi di abuso di sostanze. Uno studio pubblicato di recente su Addictive Behaviour sembra dimostrare l'efficacia degli interventi di terapia di coppia per il trattamento di veterani con PTSD ed abuso di sostanze. Maggiori informazioni qui.

Quest'ultimo dato, nonostante la particolarità dello studio (che si occupava di un solo tipo di protocollo con un piccolo campione di soggetti), è estremamente interessante, proprio perchè negli attuali protocolli di stampo cognitivo-comportamentale (spesso focalizzati sul "sintomo" del "singolo individuo") le forme strutturate di terapia di coppia sono purtroppo scarsamente presenti.

Un aspetto paradossale, vista la forte incidenza di problemi relazionali e di coppia nei soggetti con forti traumatizzazioni. Una maggiore diffusione di "prese in carico" dell'intero nucleo famigliare potrebbe invece presentare una serie di importanti vantaggi: un migliore coinvolgimento integrato della rete di supporto famigliare primario; l'occasione per fornire un supporto diretto agli altri membri della famiglia, cui deve sempre essere riconosciuto il "peso emotivo" della situazione; la possibilità di costituire uno "spazio terzo", dove elaborare, tra partner, le difficoltà ed i conflitti legati alle tensioni suscitate dall'evento traumatico, e dagli effetti "family-disruptive" della sua sintomatologia.

Anche in Italia, però, per quanto riguarda la psicologia dell'emergenza e la psicotraumatologia, di modelli di presa in carico "famigliare" non se ne sente parlare spesso. Peccato, vista la nostra ottima tradizione nazionale in tema di terapia sistemica e famigliare.

Evidentemente, siamo spesso ancora troppo legati a certi "protocolli" rigidi di marca anglosassone, di cui, se da un lato è assolutamente necessario riconoscere i pregi, dall'altro è altrettanto necessario comprendere le limitazioni.
Ma quanti dei nostri terapeuti sistemici hanno provato a cimentarsi con questo tema ?
Tema ricco di spunti, che spero possa essere ripreso nel prossimo futuro.

Luca Pezzullo