23 febbraio 2005

Da "Repubblica.it". Giocare per sconfiggere l'onda: Kit Unicef speciali per l'Asia

Repubblica.it, Esteri: Giocare per sconfiggere l'onda. Kit Unicef speciali per l'Asia
Articolo interessante sugli interventi di supporto ai bambini colpiti dal terribile Tsunami del 26 dicembre. Le metodologie di supporto psicologico per i bambini basate sul gioco sono diffuse e piuttosto efficaci. L'intervento dell'Unicef, tra l'altro, presenta importanti elementi di attenzione specifica ai differenti contesti culturali e processi di "sensemaking" tipici delle differenti realtà in cui il disastro ha impattato.

21 febbraio 2005

Il conflitto a fuoco di Verona

Condoglianze sincere a tutti gli operatori della Polizia di Stato di Verona, per la tragica morte dei loro colleghi Davide Turazza e Giuseppe Cimarrusti nel conflitto a fuoco di questa notte.

16 febbraio 2005

Peccati originali...

La psicologia dell'emergenza, in Italia, sconta un peccato originale.
Molti pensano che sia una moda, una delle tante piccole novità che ogni tanto emergono nell'orizzonte professionale, con poca o nulla sostanza ma illudendo un pò di colleghi disoccupati o in crisi di identità. Qualcuno, in effetti, l'ha interpretata così, e purtroppo se ne sono visti i nefasti effetti. Ma la psicologia dell'emergenza, per come sta emergendo in molti contesti, è qualcosa di molto più e di diverso rispetto a questo.

E' una psicologia trasversale. Ovvero, rappresenta un modo potenzialmente nuovo e interessante di riconcettualizzare temi, metodi e contenuti di molte altre branche della psicologia di base ed applicata. Se non facciamo l'errore grave di identificare la psicologia dell'emergenza con la psicoterapia del trauma, che è tutta un'altra cosa, ci rendiamo conto facilmente che nella psicologia dell'emergenza, necessariamente, rientrano numerosi contributi e prospettive metodologiche di altri settori delle scienze psi: dalla psicologia della comunicazione alla psicologia dei gruppi, dalla psicologia cognitiva ai modelli dinamici della clinica, dalla psicopatologia dello sviluppo alla psicologia culturale... molte delle tradizioni di ricerca più importanti della psicologia hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo di modelli autenticamente integrati e trasversali per il lavoro sull'emergenza.

Ovviamente, questo non significa fare un confuso eclettismo affastellatorio, anzi...
Significa, al contrario, saper discriminare lucidamente tra le ben differenti prospettive epistemologiche che fondano i diversi tipi di contributi, le diverse teorie ed i diversi modelli, focalizzandone gli "spazi di movimento e intersezione possibili", proprio alla luce curiosa delle ineludibili specificità dell'Emergenza.
E' un'operazione concettualmente complessa ma operazionalmente inevitabile se si vuole fare della "buona psicologia" dell'emergenza: dobbiamo quindi noi psicologi per primi riportare forti spazi di pensiero in un settore, come quello dei modelli di intervento in emergenza, che è finalizzato proprio a creare spazi di pensiero in situazioni in cui il "Pensare" viene di solito eliso e negato dall'ansia e dall'urgenza del "Fare una qualunque cosa subito".

12 febbraio 2005

Psicologi dell'emergenza ed altre discipline

Gli psicologi dell'emergenza "frequentano" altre discipline scientifiche ?
Il dubbio è lecito, perchè a livello internazionale, nei vari appuntamenti scientifici sul rischio, la sicurezza e l'emergenza, di psicologi se ne vedono sempre pochi. Prendiamo ad esempio l'ultimo incontro annuale SRA-E (Society for Risk Analysis Europe), che si è tenuto a Parigi a novembre. Si tratta forse del più importante incontro interdisciplinare di studi sul rischio e l'emergenza che si tenga in Europa. C'erano tutti: ingegneri che parlavano con i sociologi, economisti che parlavano con i geologi, medici che parlavano con i metereologi, chimici che parlavano con gli avvocati, architetti che parlavano con i geografi. Tutte le professionalità che, pur trasversalmente, vengono investite a vario titolo nella "gestione dell'emergenza" si confrontavano ampiamente e con poche "barriere di specie" tra di loro.
E gli psicologi, che pure si vorrebbero "esperti integratori di saperi differenti" ?
Ce ne erano ben 3 (si, tre), e così facendo hanno lasciato a ragionare di psicologia delle emergenze gli ingegneri ed i sociologi.
Fate un salto e divertitevi con gli atti del Convegno: Sra-E 2004

Ah, quest'anno l'appuntamento SRA-E è in settembre a Como. Andrà meglio ?

08 febbraio 2005

Un brano interessante sugli interventi nello Tsunami...

Su Repubblica Online, dopo lo Tsunami, sono stati pubblicati interessanti estratti dai "Diari sul campo" di un operatore di Medici Senza Frontiere (MSF), Sergio Cecchini.
Anche se è facile individuare alcuni dei modelli teorici sottesi alle pratiche implementate da queste brave psicologhe, alcune parti di questa descrizione potrebbero davvero stimolare alcune riflessioni sull'operatività in situazioni di questo tipo, in cui la clinica dell'emergenza deve veramente "uscire" dalla logica della tecnica fine a sè stessa, pur portando una "struttura interna" in situazioni completamente destrutturate...

Le ferite invisibili

Sigli, martedì 11 gennaio 2005.

"Laetitia e Faye sono due psicologhe di MSF. La prima è belga e la seconda indonesiana. Hanno già lavorato nei progetti di assistenza allo stress post traumatico in situazioni di conflitto ad Ambon, in Indnesia. Adesso sono qui per avviare i progetti di supporto psicologico rivolti ai sopravvissuti dello tsunami. "Da quando abbiamo iniziato - mi spiega Laetitia - abbiamo già effettuato 70 colloqui individuali e organizzato due terapie di gruppo per 40 persone su un totale di sei campi sfollati. E' solo ora che le persone iniziano a realizzare quello che è successo e ciò che hanno perso." Alle otto del mattino parto con loro e due infermieri indonesiani per raggiungere il campo sfollati di Batee, dove vivono 207 famiglie, circa 960 persone, in tende immerse nel fango. Sono i sopravvissuti di due villaggi sulla costa, dove sono morte 166 persone e altre quattro risultano tutt'ora disperse. "Non abbiamo acqua - ci dice Nario, quello che sembra essere il boss del campo - e vogliamo tornare ai nostri villaggi. Il nostro lavoro, la nostra vita è vicino al mare." Ma in realtà molti hanno ormai il terrore del mare e in più temono che i fantasmi degli scomparsi vogliano punirli. Molte persone sono convinte che lo tsunami sia stata una punizione e un avvertimento per condurre una vita più etica. Le malattie più diffuse a Batee sono la diarrea e le infezioni della pelle, in particolare la scabbia, ma ci sono anche diversi feriti. Al centro del campo c'è una specie di palafitta di legno dove i due infermieri iniziano a visitare e curare le persone.

Durante le visite, i due infermieri chiedono ai pazienti se soffrono di mal di testa, d'insonnia, di bruciori allo stomaco, di stati d'animo particolari. Quando qualcuno presenta uno di questi sintomi lo mandano della altre due "dottoresse" che, sistemate in una stanzetta di legno protetta e isolata da sguardi indiscreti, iniziano a parlare con il paziente e a indagare se si tratta di fenomeni causati da un trauma subito. Per chi è sopravvissuto adesso arriva il momento peggiore. "E' solo dopo aver soddisfatto i primi bisogni indispensabili per vivere, come guadagnare dei soldi, comprare del cibo, vedere che uno ce l'ha fatta o ce la può fare, che le persone iniziano a percepire la perdita - mi spiega Faye - ed è ora che dobbiamo intervenire perché poi subentra la fase del dolore, dell'apatia, della depressione che spinge, ad esempio, i feriti a non curarsi più, le persone a non rispettare le condizioni d'igiene, le mamme a non prendersi più cura dei loro figli, gli uomini a non lavorare più." Alla fine della mattinata Faye e Laetitia hanno visitato tre persone e i due infermieri circa 100.

Banda Aceh, martedì 19 gennaio 2005.

Oggi Faye parte per Meulaboh. Piccola piccola, è una delle persone più energiche che abbia mai incontrato. E' una psicologa, è indonesiana, è ha già lavorato nei progetti di assistenza mentale di Medici Senza Frontiere. Ad Ambon, isola a sud dell'Indonesia, era parte del team che lavorava sullo stress post traumatico causato dal conflitto che vede contrapposti cristiani a musulmani. Feye è arrivata a Banda Aceh il 31 dicembre, cinque giorni dopo lo tsunami. Il suo team ha effettuato più di 100 consultazioni individuali. L'intervento viene svolto sempre al seguito delle cliniche mobili. Quando una persona si presenta ai nostri infermieri con problemi psicosomatici, mal di testa, insonnia, gastrite, viene indirizzata da Feye. Dentro una tenda sotto un sole cocente, in una baracca di legno o nel bagagliaio della jeep, la piccola psicologa indonesiana si mette "in ascolto". Mi spiega il metodo che usano, lo chiamano "brief therapy" (terapia breve). La prima fase di questo metodo serve a creare una connessione tra il problema fisico di cui le persone soffrono e il loro stato d'animo. In questo modo si apre una breccia, che permette al paziente di elaborare il proprio problema e prenderne coscienza. A questo punto si entra nella seconda fase: far trovare alla persona le proprie risorse per stare meglio e insegnarle a farne uso. "Chiediamo se c'è stato qualcosa, nelle ultime tre settimane, che abbia avuto degli effetti positivi - mi spiega Feye - cantare una canzone, giocare con il proprio figlio, parlare con gli amici. Una volta che la persona scopre che in un determinato momento, svolgendo una determinata azione è stata meglio, ecco che il nostro obiettivo è raggiunto. Adesso saprà come poter aiutarsi in qualunque momento." Il problema è spiegare ai sopravvissuti che le proprie reazioni sono del tutto normali rispetto a un evento anormale. Dopo una giornata inera passata a contatto con storie disperate, Feye è sempre lì, allegra e affettuosa. L'immagine di lei che mi porterò nei miei ricordi è di quando, ogni tanto, faceva capolino dal cofano della jeep e ci regalava un sorriso. "

(L'autore del brano citato è Sergio Cecchini, di MSF Italia; gli articoli originali sono reperibili qui).

A proposito, il Rapporto Finale sulle attività di MSF nello Tsunami asiatico è qui: vale proprio la pena darci un'occhiata.

07 febbraio 2005

Piano piano...

Beh, piano piano il blog inizia a ricevere accessi.
Ma quello che più è importante è che si inizi a contribuire e partecipare alla discussione, anche condividendo situazioni, riflessioni, pareri, segnalazioni.

Come ?
E' semplicissimo. Basta cliccare in fondo al post cui si vuole rispondere o aggiungere qualcosa, sulla scritta "comment" in bianco. Da lì, si clicca su "Post Comment", scrivete il vostro contributo et voilà, fatto. Se volete, in assoluto anonimato.

Rendiamolo un blog vivo ! Di esperienze da condividere o riflessioni da fare penso ce ne siano tante.
Buon blog a tutti !