01 settembre 2016

Soccorritori, adesso è ora di prendersi cura di Sè...

Soccorritori, adesso è ora di prendersi cura di Sé...

I soccorritori delle prime squadre (professionisti e volontari di Protezione Civile, Croce Rossa, ANPAS, VVF, FFO, FFAA, etc.) che hanno operato con grande coraggio e responsabilità nell'area del sisma nelle ore e nei giorni successivi al terremoto, sono in gran parte stati ruotati e sostituiti dalle seconde e terze squadre.

Adesso, rientrati "a casa", hanno un'altra enorme responsabilità: verso sé stessi.
 I soccorritori che hanno portato sulle proprie spalle un carico operativo ed emotivo così importante "per altri", adesso devono prendersi cura di sé, dei propri vissuti, dei propri compagni, delle proprie famiglie. E' legittimo, è doveroso, è prezioso.

Sentirsi affaticati emotivamente, sentire un misto di emozioni positive (per il lavoro che si è stati capaci di svolgere) e negative (per i dubbi, le ansie, i vissuti di impotenza, i momenti dolorosi cui ci si è trovati ad assistere), sentire dentro di sé il desiderio di tornare per contribuire ancora, avere molte domande aperte: un turbinio di vissuti che chiunque sia stato in emergenze di questo tipo conosce purtroppo bene.

Ma adesso, anche prima di eventuali ritorni, è ora di prendersi cura di sé: si chiama "demobilizzazione", e l'esperienza internazionale evidenzia che è il modo migliore per garantire il benessere del soccorritore e di chi gli sta intorno (oltre a permettere un ritorno all'operatività più sicuro ed efficace).

Cosa fare? Vediamo alcuni punti veloci:

1. Alcuni pensieri, normalissimi e molto diffusi dopo un intervento "critico", possono purtroppo spingerci a "chiuderci". Ad esempio, moltissimi soccorritori (anche quelli che non lo ammettono pubblicamente :-D) hanno pensieri fastidiosi di vario tipo: "Quello che ho vissuto è stato così strano e difficile che è inutile spiegarlo. Io e gli altri colleghi che c’erano lo sappiamo, chi non c’era non può capire del tutto. Ho fatto tutto quello che potevo, eppure non è bastato. Come mi sento dentro, forse non lo possono capire nemmeno i colleghi, quasi non riesco a capirlo nemmeno io. Non voglio farmi vedere più debole o "complessato" degli altri, e ritornarci con la mente mi fa stare male..." Sono tutti pensieri NORMALI, FREQUENTI e sarebbe strano se non ci fossero! E' la nostra mente che cerca, dopo un impegno "fuori dall'ordinario", di ridare senso, ordine e significato al caos di emozioni, vissuti e situazioni difficili che abbiamo vissuto. In psicologia dell'emergenza, si evidenzia da sempre che sono semplicemente: "Reazioni normali davanti ad eventi anormali".

2. Può essere altrettanto frequente e normale, nei giorni successivi al rientro, scoprire di "avere la testa sempre lì", continuare a ripensare a persone od eventi specifici, cercare continuamente informazioni sui giornali e alla televisione, sentirsi nervosi e irritabili, avere problemi di sonno o di appetito, avere alcuni screzi famigliari o lavorativi. Anche qui: può essere spiacevole, ma è assolutamente nella norma. Il "rientro alla normalità" richiede una fase di "ri-adattamento" dopo l'iperattivazione che abbiamo vissuto in emergenza, ed è spesso accompagnata da vissuti di questo genere.

3. E' spesso molto utile, e fortemente consigliabile, partecipare alle iniziative di supporto emotivo post-intervento organizzate dalla propria Istituzione/Ente/Associazione, che sia Demobilization, Defusing o Debriefing (solitamente condotte da psicologi qualificati).

4. Lasciare il tempo "ai propri muscoli emotivi, fisiologicamente affaticati per quanto hanno dovuto sollevare" (mi si perdoni la metafora semplice, ma è forse la più efficace) di riposare e riprendere la propria funzionalità, senza pretendere o fare finta che "non sia successo niente".

5. Importante condividere dubbi, storie e vissuti con i colleghi che hanno operato con noi: probabilmente anche loro hanno vissuti simili ai nostri, ed condividere e parlare insieme dell'esperienza vissuta, con rispetto per le posizioni di tutti, è utilissimo sia per i singoli che per la coesione del team. E' il "terzo tempo" dell'emergenza, ed ha una sua fondamentale importanza.

6. Ripristinare il prima possibile la "routine" quotidiana, assaporarla, godersi le piccole cose positive della propria quotidianità: l'uscita con gli amici, bel tempo passato a giocare con i figli, la buona notte di sonno, la cena speciale preparata con cura....

7. Concedersi tranquillità, e soprattutto... piccole ma significative gratificazioni! Hai fatto tanto, hai sostenuto carichi emotivi molto "pesanti e affaticanti", ora di devi concedere, tu per primo, un buon riconoscimento per quanto hai fatto. E' il momento ideale per farsi un regalo importante, per godersi una breve vacanza, per togliersi una piccola soddisfazione rimandata da tempo - e ripetersi che ce la si merita proprio.

Ma se sto ancora "male" (ansie, insonnia, pensieri continui), anche dopo molti giorni?

In primo luogo, state tranquilli: può capitare a chiunque, e non implica nulla sulle vostre capacità di soccorritore. Anzi, tra gli operatori del soccorso di tutto il mondo, è forse la “problematica” più diffusa.

Fondamentale ricordare che, nella grande maggioranza dei casi, si tratta di reazioni acute, ma transitorie (qualche settimana al massimo). Ed anche in caso "sfortunato", possono essere adeguatamente gestite da un punto di vista psicologico e psicoterapeutico! E' quindi importante pertanto prendersi i propri tempi, evitare la sindrome dell"Uomo (o della Donna) che non deve chiedere mai", e parlarne con partner ed amici fidati. Importante anche evitare di "berci sopra", o di "autoprescriversi farmaci"... fa solo male, ed il problema rischia di rimanere congelato ed irrisolto.

Ricordatevi che le cosiddette reazioni "post-traumatiche" NON colpiscono affatto i più "deboli", ma di solito chi ha "dato di più" e si è quindi più esposto alla fatica emotiva della situazione. Potete parlarne con il medico di base o con uno psicologo, chiedendo eventualmente di essere indirizzati ad uno specialista, che può aiutare a rielaborare quanto è successo: prima lo si affronta, prima si può risolvere e riprendere a stare meglio. E ricordate che normalmente, per i disturbi post-traumatici, la sola farmacoterapia è meno efficace della psicoterapia o dell’associazione farmacoterapia-psicoterapia.

E se un collega mi sembra che stia molto male?

In primo luogo, lasciargli il suo tempo; ciascuno reagisce in maniera assolutamente personale, e si tratta solitamente soloo di una reazione diversa, ma non necessariamente migliore o peggiore della nostra. Se vuole parlare di quanto avvenuto, ascoltalo con attenzione e rispetto: ci parla di vissuti che potrebbero essere anche i nostri... Se vedi che le sue difficoltà sono forti e durature (settimane o mesi), prova ad accennargli - con delicatezza ma anche chiarezza - alla possibilità di contattare un professionista psicologo per valutare meglio la situazione. Ricordagli e (ricordati tu per primo !) che sono solo... reazioni normali ad eventi anormali, e che anche in caso creino sofferenza possono essere risolte ed elaborate bene con un adeguato supporto psicologico.

In sintesi: hai fatto tanto per curarti di altri, ora ti meriti di prenderti cura anche di te stesso. Ed una cosa si deve sottolineare con forza: IL SOCCORRITORE CHE NON "SI RISPETTA" E NON SA PRENDERSI CURA DI SE', E' UN PESSIMO SOCCORRITORE.

24 agosto 2016

Terremoti e Cultura della Sicurezza: una sfida impossibile?

[Terremoti e Cultura della Sicurezza: una sfida impossibile?]

Il terremoto di Amatrice riporta a tutti la memoria al sisma, analogo per magnitudine e contesto geografico, de L'Aquila. La differenza principale è rappresentata dalla struttura della serie sismica, dalle profondità degli ipocentri e dalla diversa urbanizzazione: L'Aquila centro urbano molto abitato, l'area del Reatino con una urbanizzazione molto più diffusa e leggera.

Se davanti ai regolari terremoti che colpiscono il nostro paese la paura è normale e fisiologica, rimane meno fisiologica la situazione della preparazione e della "cultura" dell'emergenza in Italia.

Nonostante il nostro paese sia notoriamente uno dei pochi al mondo ad essere esposto praticamente a qualunque tipo di disastro naturale possibile (terremoti, inondazioni, dissesti, tsunami, trombe d'aria, frane, subsidenza, vulcani...), e vi sia ampia conoscenza di aree e fenomeni a rischio, il livello medio di preparazione della cittadinanza rispetto alle basilari misure di prevenzione e protezione rimane ancora troppo basso.

Molti residenti di aree a rischio non sanno cosa fare davanti ai principali tipi di rischio; quasi nessuno predispone zainetti di emergenza o contatti fuori area; raramente si parla ai bambini di come comportarsi se succede qualcosa. La conoscenza dei Piani di Protezione Civile locale è minima, nella popolazione. Pochissimi "esterni" al Sistema di Protezione Civile hanno anche solo un'idea di come funzioni, come sia organizzata, come si possa collaborare utilmente ai soccorsi.

Ancora più grave, troppo spesso si commettono leggerezze imperdonabili nel settore edilizio od urbanistico, sentendosi magari "furbi": costruzioni in aree golenali a rischio alluvionale, variazioni edilizie che non rispettano la normativa antisismica, utilizzo di materiali edili scadenti "per risparmiare" (con strizzatina d'occhio tra costruttore e proprietario - che sarà però poi il primo a lamentarsi dei danni in caso di terremoto). Ancora poco o per nulla diffuse forme assicurative contro danni da calamità naturali, ancora troppe bufale pseudoscientifiche che circolano in merito ai terremoti.

Ogni tre-quattro anni abbiamo un'emergenza significativa in Italia; l'attenzione pubblica rimane alta alcune settimane, poi tutto va nel dimenticatoio fino alla tragedia successiva.

I processi sociali e psicologici che ne stanno alla base sono conosciuti, legati a dinamiche di risk perception e risk communication ben note, ad una serie di bias cognitivi e a processi di costruzione di significato collettivo che sono funzionali per contenere l'ansia nel breve termine, ma spesso disfunzionali per la protezione "reale" a lungo termine. Su questo, il contributo della psicologia allo sviluppo di cultura stabile di "prevenzione" nel tempo, e non solo di intervento di soccorso nell'evento acuto, è fondamentale.

Insomma, se il Sistema di Protezione Civile nazionale negli ultimi 20 anni ha fatto tanto, sviluppando un insieme di pratiche, procedure, strutture organizzative territoriali molto diffuse (ogni paese ha ormai un nucleo di Protezione Civile), la "cultura della sicurezza" diffusa purtroppo arranca ancora molto.

Ben vengano quindi iniziative importanti, come quella di "Terremoto, io non rischio" promossa proprio dal Dipartimento di Protezione Civile nazionale, e che negli anni ha portato nelle piazze di tutta Italia eventi di formazione, informazione e sensibilizzazione molto ben organizzati (con il concorso di molto volontari qualificati di tutta Italia; segnalo il contributo particolare dato da "Psicologi per i Popoli"); ma il problema è forse più ampio.

L'ancora troppo frequente atteggiamento "fatalista, furbacchione e menefreghista prima - aggressivamente confuso e rivendicativo dopo" è ancora troppo tipico davanti ai rischi ed emergenze. Eppure basta relativamente poco, per cambiare mentalità; e soprattutto, in un territorio come quello italiano, non abbiamo scelta se non di farlo. Su questo i media, le istituzioni, e le scienze sociali (psicologia sociale e di comunità in primis) possono e devono fare la loro parte.