07 ottobre 2006

Materiali - Lab.10 - Prepararsi all'Emergenza

PREPARARSI ALL’EMERGENZA.
L'ATTIVITA DI PREVENZIONE CON BAMBINI, ADOLESCENTI E ADULTI.

Il laboratorio, composto da un cospicuo gruppo di colleghi molto interessati al tema proposto, ha potuto rilevare quanto questa parte della psicologia dell’emergenza sia ancora priva di esperienze significative concrete nel territorio italiano e quanto spesso vengano sottovalutate dall’organizzazioni della protezione civile.

Nel gruppo stesso sono state evidenziate scarse esperienze nel settore della preparazione della popolazione dell’emergenza, si è lavorato quindi molto sulle esperienze proposte dai coordinatori. Il gruppo ha però elaborato una preziosa sintesi finale per sancire i punti importanti da tener conto in una programmazione seria di preparazione della popolazione all’emergenza.

La preparazione della popolazione all’emergenza, come parte integrante della psicologia dell’emergenza, comporta per lo psicologo una formazione centrata sull’acquisizione di:
- tecniche psicoeducative
- tecniche di gestione dei gruppi
- tecniche psicopedagogiche

Principi base dell’intervento formativo nel campo della prevenzione:

- Analisi dei bisogni: verifica dei rischi a cui è soggetto l’utente del percorso formativo; adeguamento del percorso ai bisogni evolutivi degli utenti;
- Partecipazione: Coinvolgimento attivo degli allievi; mobilitazione delle loro competenze;
- Continuità: evitare gli interventi spot e prediligere percorsi formativi strutturati nel tempo;
- Correttezza metodologica: programmare l’intervento; curare la comunicazione, adeguarsi alla fascia d’età coinvolta, differenziare i contenuti, costruzione di strumenti didattici adeguati;
- Focalizzazione dell’intervento sul gruppo: utilizzare le diverse tecniche di conduzione dei gruppi;
- Realizzazione della mediazione interistituzionale e del lavoro di rete per la programmazione e realizzazione del percorso;
- Centrare l’intervento sul principio dell’esperenzialità: programmare esercitazioni, simulate, promuovere l’acquisizione di competenze e capacità operative pratiche (primo soccorso, tecniche antipanico, antincendio ecc.);
- Promuovere le esperienze formative all’interno di un contenitore ludico-fantastico se rivolte ai bambini;
- Affrontare i contenuti in termini interdisciplinari;
- Curarsi della motivazione alla partecipazione al percorso formativo;
- Curare la restituzione sul percorso realizzato attraverso la verifica del raggiungimento degli obiettivi previsti.

Rita Di Iorio, Daniele Biondo

Materiali - Lab. 5 - Debriefing Psicologico

IL DEBRIEFING PSICOLOGICO

Il Debriefing psicologico, considerato uno strumento-principe della psicologia dell'emergenza, è stato preso in considerazione nel Laboratorio attraverso testimonianze dirette della sua applicazione in contesti di emergenza.
Ideato nel 1983 da Jeff Mitchell (psicologo ed ex-pompiere statunitense) all'interno di un modello di gestione dello stress da incidenti critici, il Debriefing psicologico, che rappresentava una piccola parte dell'intervento studiato a sostegno delle squadre di soccorritori nel post-emergenza, si è rapidamente diffuso a livello internazionale assurgendo - di per sé – a strumento di pronto soccorso psicologico valido anche per le vittime.

Apparentemente di facile applicazione per la sua procedura standardizzata, il suo uso indiscriminato nei contesti più disparati ha indotto la comunità scientifica, specialmente in ambito europeo, a rivederlo criticamente ponendo attenzione più che al rispetto della rigida sequenza procedurale alla comprensione dei processi dinamici che nel corso del Debriefing scaturiscono dal gruppo.

Nel Laboratorio, dal confronto tra esperienze sul campo è emersa la raccomandazione di inserire sempre e comunque il Debriefing psicologico all'interno di un programma più generale di intervento sulla crisi, considerandolo un anello della catena del soccorso psicologico e psico-sociale. E' emersa anche, in linea di massima, la sua validità come strumento di sostegno non routinario a squadre omogenee - cioè con pari grado di esposizione al trauma - di soccorritori, per informare i partecipanti sui possibili effetti dell'impatto con eventi gravemente stressanti, accomunarli ed accoglierli in uno spazio di ascolto, permettere loro di condividere e metabolizzare le emozioni.

Per quanto riguarda invece la sua applicazione su gruppi di vittime di eventi critici, sulla base delle testimonianze presentate nonché della vasta letteratura sull'argomento si è raccomandata grande prudenza, poiché i fattori in gioco - rispetto ai gruppi strutturati di soccorritori - sono molto più numerosi e più complessi.

Prioritaria deve essere l'analisi dei bisogni della comunità colpita e della fase in cui si interviene, la consapevolezza del contesto esterno in cui si va ad operare nonché di quello interno entro il quale si opera in quanto psicologi dell'emergenza (per quale organizzazione o istituzione? con quale programma? con che tempi?).
Ma se l'intervento di Debriefing psicologico su un gruppo omogeneo di vittime sarà valutato opportuno e garantito il suo successivo “follow-up”, lo psicologo dell'emergenza avrà a disposizione uno strumento importante per ridurre l'impatto emotivo dell'evento attraverso le parole, “normalizzare” le reazioni acute da stress con l'informazione e il confronto, far intravvedere la possibilità di superare le modalità di pura sopravvivenza dovute alla crisi per ripristinare le normali attività antecedenti.

Ci sarà anche l'occasione di monitorare in modo indiretto i casi di disagio più grave, che potrebbero necessitare di una presa in carico individuale.
In più, con il Debriefing psicologico ci sarà l'opportunità per chi si ritrova “vittima” di dare un senso all'esperienza traumatica anche attraverso l'appartenenza al gruppo, per lo psicologo dell'emergenza di creare uno spazio di ascolto che possa ridare ad ogni “vittima” il suo status di persona, membro della comunità.

Isabella De Giorgi

Materiali - Lab. 4 - Emergenze Internazionali

La Progettazione degli interventi psicosociali nelle emergenze internazionali

Il periodo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta ha rappresentato una fase topica nel percorso di integrazione della Psicologia nell’ambito delle emergenze internazionali. E’ con le guerre jugoslave infatti, quella bosniaca prima, quella kossovara poi, che i progetti di assistenza psicologica alle vittime dei conflitti armati si sono affiancati in modo massiccio ai tradizionali interventi di tipo sanitario, nutrizionale, abitativo e socio-assistenziale caratteristici degli interventi nelle emergenze complesse. Si calcola infatti che nelle guerre jugoslave in complesso siano stati finanziati e realizzati 185 programmi psicosociali. Da allora la funzione psicologica nell’aiuto umanitario è andata via via consolidandosi anche in contesti ove potrebbe apparire culturalmente lontana come in Africa.

Le aree principali in cui oggi si attivano progetti psico – sociali sono, oltre alle catastrofi naturali come lo Tsunami, l’assistenza ai rifugiati, la tutela minorile, relativa a fenomeni quali i bambini di strada o i bambini soldato, l’assistenza psicologica alle vittime di violazione dei diritti umani, violenze sessuali, tortura, “pulizie etniche”.
Ma come si definisce in concreto un intervento psicosociale ? Si tratta di un insieme di azioni finalizzate a restituire ai singoli e alla comunità il benessere psicosociale compromesso dalla catastrofe valorizzando le risorse locali, ove per “benessere psicosociale” si intende la compresenza di tre fattori: la funzionalità individuale, cioè la salute psico – fisica e il repertorio di conoscenze e competenze di una persona, l’ecologia sociale, cioè le relazioni sociali e la rete di supporti su cui l’individuo può contare, il sistema culturale – valoriale, cioè lo specifico contesto comunitario che influenza l’esperienza degli eventi, l’attribuzione di significato e le risposte alle difficoltà della vita.

Le situazioni di emergenza compromettono il benessere psicosociale delle popolazioni colpite su diversi piani: in primo luogo, la funzionalità individuale può venire compromessa da sindromi depressive, dallo sconvolgimento della vita sociale o da disabilità fisiche; la morte di persone provoca la perdita di manodopera nelle famiglie e nella comunità. Anche il sentimento di perdita del controllo sugli eventi contribuisce a indebolire la capacità di far fronte ai problemi. In secondo luogo, le guerre e i disastri naturali possono portare alla distruzione dell’ecologia sociale di una comunità, modificando le relazioni tra le famiglie e rendendo difficile il funzionamento delle organizzazioni civili e religiose. La cultura e i valori di una comunità infine possono venire sconvolti quando sono negati i valori comuni e violati i diritti umani. Può diventare difficile in questi casi osservare le tradizioni culturali che davano un senso di unità e di identità comunitari. I conflitti possono anche aumentare o rinforzare l’immagine negativa di altri gruppi politici, religiosi, etnici portando a una escalation di violenza e odio.

In tutti questi casi, quando una emergenza colpisce paesi che non posseggono risorse strutturali ed economiche in grado di far fronte alla catastrofe, si configura l’intervento internazionale, finanziato e indirizzato dalle grandi agenzie intergovernative, ONU e Unione europea, o governative, i singoli stati, e realizzato in gran parte dalle agenzie non governative. Per tali interventi, che si realizzano in contesti caratterizzati dalla precarietà, spesso dalla instabilità, in una dimensione quindi estremamente complessa che richiede una accurata programmazione, lo strumento di elezione è rappresentato dal progetto, una cornice operativa i cui obiettivi, metodologie, mezzi, costi e tempi sono predefiniti in base a puntuali studi di fattibilità che tengono conto di tutte le variabili in gioco.

Ciò vale per ogni tipo di intervento, anche per quelli psicosociali. A parte le emergenze immediate, ove si applicano gli standard dello Psychological First Aid (PFA), l’intervento psicosociale nelle emergenze internazionali si colloca infatti prevalentemente nelle situazioni di post emergenza e di riabilitazione. In questi casi l’utilizzazione di uno strumento come il progetto è indispensabile sia per garantire la qualità degli interventi sia per ottenere i finanziamenti dai donors sia infine per costruire una base di negoziazione con le controparti locali.
Il termine “progetto psicosociale”, che è andato ormai affermandosi in campo internazionale, è stato preferito ad altri per precisi motivi. Nel passato molti progetti concernenti la salute mentale erano basati unicamente sulla presa in carico psichiatrica. Se è vero che nelle comunità colpite vi sono sempre pazienti psichiatrici cronici e soggetti gravemente traumatizzati che necessitano di adeguati trattamenti e tutela, in realtà ogni evento traumatico provoca stress e sofferenze che hanno un forte impatto sugli individui e le comunità. Stress e sofferenza non sono malattie psichiatriche, ma normali reazioni a eventi violenti e straordinari e classificarle come psichiatriche è inappropriato.

Il termine “intervento psicosociale” appare quindi preferibile in quanto da una parte enfatizza la stretta connessione tra gli aspetti psicologici (pensieri, emozioni e comportamenti) e quelli sociali (interrelazioni, tradizioni, valori e cultura) e la loro interdipendenza, dall’altra evita il rischio di una stigmatizzazione delle popolazioni colpite dalla catastrofe che potrebbero non riconoscersi nelle categorie nosologiche occidentali; implica infine che nelle emergenze complesse l’intervento psicologico, per avere significato, non deve restare isolato ma accompagnarsi a contestuali interventi di altro tipo rispondenti a bisogni primari dei beneficiari, quali quelli socio-economici, socio-educativi e socio-sanitari.

Dott. Paolo Castelletti

Materiali - Lab. 3 - Comunicazione cattive notizie

COMUNICARE CATTIVE NOTIZIE
Fabio Sbattella


La letteratura scientifica internazionale ha mostrato, negli ultimi anni, un crescente interesse al tema degli effetti psicologici di notizie negative ed inattese. In particolare, l’attenzione è stata posta in ambito sanitario alla comunicazione delle diagnosi infauste, nella consapevolezza clinica che una corretta comunicazione può facilitare l’adesione ai programmi di cura, migliorare la qualità di vita della persona malata, agire in termini di prevenzione secondaria rispetto a possibili traumatizzazioni. La riflessione sul tema delle “Bad news” va comunque al di là di aspetti strettamente clinici. Essa sottolinea l’attenzione a recuperare la dimensione umanistica del lavoro sanitario e ripensare il rapporto sanitari-pazienti in termini di empowerment.

Porre cura ed attenzione ai momenti più delicati dei percorsi di sofferenza risponde infatti anche ad esigenze etiche e deontologiche e può contribuire a ridurre quella massa di azioni legali che i malati promuovono nel tentativo di veder riconosciuta la propria dignità, ferita da sistemi di aiuto tecnologizzati, molto difesi e burocratizzati. Porre i cittadini in grado di accogliere e comprendere le informazioni emotivamente più difficili, significa inoltre facilitare la conservazione di quel senso di efficacia sulla propria vita e sulla realtà circostante che risulta indispensabile per agire le scelte sollecitate dalle situazioni critiche.

Nei contesti tipici dell’emergenza poi, il tema della comunicazione di notizie infauste assume una dimensione di grande complessità, vista l’ampiezza numerica dei gruppi coinvolti, la gravità delle situazioni, la drammatica e strutturale carenza di tempo.
Il laboratorio da noi condotto all’interno del primo campo scuola per psicologi dell’emergenza a Rovereto, ha puntato l’attenzione sugli strumenti ed i saperi specialistici, utili a migliorare i processi di comunicazione in caso di “Bad news”.
Hanno partecipato ai lavori una trentina di colleghi, provenienti da 12 diverse Regioni italiane e con diversi livelli di esperienza in merito. E’ stata un’occasione per confermare e condividere esperienze consolidate, presso le Aziende ospedaliere (ad esempio in Valle D’Aosta), le ASL (ad esempio a Milano), le Municipalità (ad esempio Firenze), ed anche per scambiare notizie di ricerche significative, realizzate a Cesena, Milano, Verona, in grado di dare supporto teorico e sperimentale alle buone pratiche proposte dai professionisti sul campo.

Rileggendo insieme le linee guida proposte dai colleghi statunitensi e divulgate anche in Italia, è stato evidenziato come, al di là di indicazioni puntuali ed attenzioni linguistiche, sia importante riflettere sulle implicazioni emotive e sulle possibili identificazioni che inevitabilmente emergono, in particolare nelle comunicazioni di decesso.
I concetti di empatia e contenimento emotivo, sono oggi riletti alla luce delle teorie sull’intelligenza emotiva, ma al di là dei rinnovati inquadramenti teorici, suggeriscono la necessità di una attenta e profonda formazione di chi è preposto o desidera essere accanto ai familiari, ai bambini, ai sopravvissuti che hanno perso qualcuno in emergenza.

Cruciale è apparso anche il fattore temporale, che oltre ad essere deformato, nei vissuti personali, dalle vicende traumatiche, è anche compresso dalla frequente presenza dei media nei momenti di vita più drammatici per svolgere un’azione informativa tempestiva in una società estremamente connessa a livello mediale.
Tra dilemmi etici e complessità organizzative, il laboratorio si è chiuso con una serie di ipotesi in grado di stimolare la ricerca e con un impegno: diffondere la notizia che la psicologia italiana è pronta per scendere in campo accanto a chi è costretto a ricevere o fornire notizie sulla vita che possono, per molti aspetti, rivelarsi decisamente dolorose.

Fabio Sbattella

Materiali - Lab. 2 - Formazione e Selezione Volontari

Laboratorio 2: Formazione dei Soccorritori e Selezione dei Volontari

Un numero elevato di esperienze e metodologie di lavoro si sono mescolate e confrontate dando luogo - nonostante l'esiguità del tempo a disposizione - a scambi significativi che rientrano nel campo della psicologia applicata e fanno riferimento a più scuole e orientamenti teorici.
Tali contributi e punti di vista – a volte anche antitetici -costituiscono una ricchezza alla quale attingere nelle diverse situazioni e contesti di emergenza.
La formazione dei soccorritori è in realtà una formazione che coinvolge persone appartenenti a istituzioni e servizi pubblici, ma anche ad associazioni di volontariato e comunità locali che, con ruoli diversi e specificità professionali e umane, si trovano ad agire prima, durante e successivamente a situazioni di emergenza di varia natura.

Le variabili soggettive dell'attività di soccorso, la qualità della prestazione e il ruolo che la psicologia applicata possono svolgere per sostenere istituzioni, organizzazioni, gruppi, professionisti e volontari sono stati oggetto di riflessioni.
Molti i punti di convergenza dei diversi tavoli di lavoro, da cui nascono alcuni messaggi chiave in tema di formazione e selezione:

1- Il valore del “rispetto” inteso come valore fondante e centrale da declinare e definire nella pratica all’interno di scelte in capo ad organizzazioni, persone, situazioni;

2 - L’indispensabilità di individuare azioni in grado di rendere noti e accettabili i contributi che la psicologia può offrire al mondo delle professioni in genere, e quindi anche a realtà del “soccorso” che, per tradizione, eludono approcci in tal senso;

3 - L’importanza di attivare scambi reali tra i diversi attori che agiscono nelle emergenze per fare in modo di costruire vocabolari e conoscenze condivise a cui ognuno possa attingere per comprendere, descrivere e mettere in comune esperienze ed emozioni;

4 - L’importanza di distinguere le richieste indirizzate alla formazione dai bisogni formativi realmente presenti e dalle prerogative individuali alla base di ogni apprendimento;

5 - La necessità di passare dal concetto di “selezione” (l’uomo giusto al posto giusto) a quelli di “accoglimento” “informazione” “orientamento” e aprire la riflessione sui processi in grado di valorizzare i potenziali motivazionali e le caratteristiche esistenti nei soccorritori;

6 - L’idea che la disponibilità dei volontari rappresenta comunque una risorsa che va accolta e che si accosta alla necessità formativa di mettere in atto iniziative che non possono prescindere dal considerare le diverse variabili che entrano in gioco quando l’individuo si interfaccia con un’organizzazione;

7 - L’importanza di riflettere sulla formazione dei soccorritori considerandola come un processo di azioni, ma anche di omissioni che agiscono all’interno di tempi e si
collocano a livello di gruppo, di individuo, di organizzazione dando origine a
comportamenti che possono costituirsi come indicatori di verifica;

8 - L’idea forte che la formazione alle emergenze debba essere orientata a creare una
cultura della prevenzione che non può fare a meno di “nutrirsi” di piani di
comportamento definito, di sensibilità e azioni consapevoli che solo dopo esser stati
ben descritti, possono essere trasferiti al fine di permettere un’assimilazione da parte dei diversi mondi presenti nel territorio (popolazione, genitori, insegnanti, ragazzi, bambini, ecc.).

Manuela Bailoni, Delfo Bonenti, Giampaolo Libardi, Vittorio Tripeni

MATERIALI ROVERETO - NBCR

Simulazione NBCR

Nel corso del Campo-Scuola si è svolta una simulazione dai risvolti particolarmente interessanti: all’interno di una complessa esercitazione NBCR, per la prima volta in Italia, si è voluto sperimentare l'inserimento di una squadra di Psicologi dell'Emergenza direttamente all'interno di strutture di decontaminazione NBCR della CRI del Trentino.

L'idea di base era che gli psicologi avrebbero potuto non solo iniziare a mediare fin dalle prime fasi le difficoltà emotive legate all'incidente NBCR ma che, soprattutto, avrebbero potuto collaborare con gli operatori NBCR per gestire professionalmente tutti i casi "comportamentali" più "difficili" (persone agitate, oppositive, confuse), al fine di liberare risorse tecniche e rendere più rapido, efficiente e sicuro il passaggio nella catena di decontaminazione.
Dunque, un ruolo doppio per gli psicologi: da un lato il "classico" intervento di sostegno emotivo; dall'altro un'intervento di gestione dei casi difficili finalizzato espressamente a rendere più rapida la catena con la conseguente riduzione dei tempi tecnici necessari per le operazioni di decontaminazione.
Ulteriore obbiettivo degli psicologi, lo sperimentare e comprendere attraverso l'esperienza diretta quali regole di comportamento e comunicazione non verbale potessero risultare più efficaci per operatori "scafandrati" al fine di gestire tali situazioni, per condividerle poi con tutti gli altri operatori.

Gli otto psicologi coinvolti (quattro maschi e quattro femmine) dalla sera prima hanno iniziato una preparazione breve ma intensiva sull'uso corretto dei DPI (tute NBCR, maschere antigas, filtri chimici), sulle procedure di vestizione e di sicurezza, e sui concetti fondamentali del lavoro di decontaminazione. Fino a tarda notte hanno sperimentato le difficoltà di comunicazione con le maschere antigas ed i filtri, cercando di valutare le migliori procedure alternative utilizzabili per il loro specifico lavoro.
Al mattino, suddivisi a coppie nelle stazioni iniziali e finali delle due catene di decontaminazione (maschile e femminile), hanno iniziato l'esercitazione assieme agli Istruttori CRI. Lo scenario simulato prevedeva un grave incidente chimico in una fabbrica (fuga di dicloro metano), e la necessità di decontaminare diverse decine di persone (compresi numerosi casi "difficili", ben recitati da un apposito gruppo di psicologi-simulatori: dalla donna incinta e terrorizzata allo straniero che non parla italiano; dalla giovane sordomuta oppositiva al soggetto catatonico; dal giovane violento all'anziano confuso).

L'esercitazione si è svolta brillantemente, producendo risultati nettamente superiori alle aspettative di tutti, sia tra gli Psicologi che tra gli Istruttori NBCR della CRI. Psicologi e Operatori NBCR si sono integrati in maniera molto efficace, e l'azione di supporto nelle catene di decontaminazione è stata apprezzata da tutti i partecipanti, simulatori e osservatori.

Nel debriefing congiunto finale sono state condivise delle indicazioni preziose, come la necessità di utilizzare segni di riconoscimento chiari per psicologi ed operatori; di sviluppare codici non verbali semplificati per comunicare in contesti "confusi"; di utilizzare meglio cartelli e comunicazioni visive che aiutino le vittime a orientarsi meglio nella catena di decontaminazione; ed alcune indicazioni pratiche su come gestire concretamente situazioni di panico e conflittualità all'interno della struttura di decontaminazione.
Un’esperienza di integrazione da ripetere, ed un importante tema tecnico-operativo da approfondire ulteriormente.

Luca Pezzullo

MATERIALI CAMPO-SCUOLA DI ROVERETO

Nei prossimi post verranno progressivamente inserite una serie di brevi relazioni sullo stato dei lavori al Campo-Scuola nazionale di Psicologia dell'Emergenza di Marco di Rovereto, curati dai diversi responsabili dei Laboratori.
Alcuni di questi materiali sono stati anche inviati alla rivista "La Protezione Civile", per uno speciale sul Campo-Scuola.