27 febbraio 2008

Il supporto alle vittime di tortura

Il tema del supporto alle vittime di tortura e violenza sistematica, od ai rifugiati che provengono da scenari di guerra o genocidari, è di una estrema delicatezza e complessità.
Complessità con cui, però, sempre più spesso chi si occupa di psicologia dell'emergenza si trova a doversi confrontare.

Sia che si operi all'estero nei contesti di cooperazione internazionale in "war-torn countries", sia che si operi in Italia, a contatto con i problemi di migrazione ed accoglienza/supporto dei rifugiati, tali tematiche assumono tutta la loro pregnanza; e spesso, per essere affrontate compiutamente, richiedono competenze e strumenti operativi che non sono sempre ricompresi nei percorsi formativi di base dello psicologo (anche se si occupa di emergenza).

Una fortissima attenzione al dato interculturale, una buona (se non ottima) conoscenza anche degli aspetti di "realtà" (istituzionali, burocratici, legali) che caratterizzano queste forme di assistenza e questi processi di accoglienza; la capacità di lavorare in un team interdisciplinare composto da mediatori culturali, medici, psicologi, avvocati, assistenti sociali sono tutte competenze che devono assolutamente accompagnare la formazione tecnica dello psicologo dell'emergenza che intende operare in questi contesti. Formazione tecnica che ovviamente dovrà essere particolarmente approfondita sul versante della clinica interculturale, della clinica del trauma (e spesso dei traumi estremi, e del modo di "significarli" nelle diverse matrici culturali) e dell'elaborazione transferale delicata e "pesante" che si attiva spesso in queste situazioni. E' necessaria inoltre una frequente intervisione di equipe, e non si deve mai dimenticare una regolare supervisione individuale sui propri vissuti emotivi, messi spesso a dura prova dal contatto prolungato con una realtà di violenza di questa magnitudine.

Tra i rischi principali vi sono infatti quelli di trovarsi a "ondeggiare" nell'equilibrio fondamentale tra piano endopsichico e piano di realtà: piani che se vengono sbilanciati esitano in un "outcome" antiterapeutico. Una troppo marcata adesione al piano di realtà di quanto avvenuto (facilitata dalla magnitudine e pervasività del materiale traumatico portato nell'incontro clinico) rischia infatti di condurre ad un'identificazione eccessiva, confusiva e collusiva, che devia troppo lo scambio relazionale e riduce la funzionalità del setting; dall'altro lato, il desiderio di "tenere a distanza" il dato di realtà legale e situazionale (per evitamento da parte del terapeuta spaventato, o ignoranza della sua rilevanza per il torturato/rifugiato), rischia di creare uno iato che "scinde" l'elaborazione intrapsichica dai suoi ineludibili e fondamentali correlati di realtà e conseguenze concrete, rendendola così sterile ed inefficace.

In entrambi i casi, inoltre, si aumenta il rischio di sviluppare una traumatizzazione vicaria per il terapeuta (paradossalmente, non solo nel caso di eccessiva vicinanza: anche l'eccessiva "dissociazione" del terapeuta dai dati di realtà portati dal paziente apre la strada a rischi di traumatizzazione vicaria...)

Il clinico ha invece il dovere (per il paziente, e per sè stesso) di provare a tenere la "barra al centro", il più possibile, tra dato endopsichico e dato di realtà (che in qeusti casi sono più che mai "con-fusi"); ma la difficoltà di farlo in questi difficili contesti richiede appunto una buona preparazione, una forte "umiltà" professionale, il frequente ricorso alla supervisione e, sempre e comunuqe, il mantenimento di un'ottica di lavoro d'equipe.

In Italia, un ottimo lavoro in tale senso inizia ad essere svolto da varie realtà di colleghi, sia in direzione della sensibilizzazione professionale, sia in ottica operativa strutturata.

Tra i principali "attori" di questo scenario in forte sviluppo, segnalo la Vivo Foundation (che applica l'ottima tecnica della NET in vari contesti); la neonata Psicologi per i Popoli nel Mondo (particolarmente attenta alla dimensione psicologica interculturale e migratoria) e l'importante lavoro svolto a Roma dal gruppo di Medicina delle Migrazioni dell'IRCSS San Gallicano.

In particolare, è a quest'ultimo gruppo ed alle sue importanti attività a supporto dei rifugiati vittime di tortura che si riferisce il bel volume:
"Oltre la Tortura. Percorsi di accoglienza per rifugiati e vittime di tortura", a cura di Aldo Morrone, Edizioni Magi, Roma (2008).

Il libro di Morrone e dei suoi collaboratori è un testo chiaro e interessante; che si accompagna all'altro ottimo volume di merito:
"L'assistenza terapeutica ai rifugiati", di R.K.Papadopoulos, sempre di Edizioni Magi, Roma (2006).

Due testi che consiglio veramente a chi vuole iniziare ad interessarsi di questo ambito.

Se poi leggete il francese, un altro ottimo testo di approfondimento è:
"Comprendre et soigner le trauma en situation humanitaire", di Marie-Rose Moro et al., Dunod, Paris, 2003.

Un saluto a tutti,
Luca

14 febbraio 2008

Cooperazione internazionale e regole di sicurezza

Uno dei temi più frequenti nelle email che mi arrivano in relazione al Blog è quello della "partenza per l'estero".

Molti (soprattutto giovani psicologi) sono interessati a ricevere infatti informazioni o suggerimenti su occasioni di formazione, opportunità professionali o contatti istituzionali per poter partire in una missione di cooperazione internazionale, o per poter effettuare esperienze nel contesto del supporto psicosociale in PVS (Paesi in Via di Sviluppo).

Il settore della cooperazione internazionale (assieme a quello dell'intervento interculturale) è in effetti uno dei più significativi della psicologia dell'emergenza, e presenta diverse occasioni applicative di grande valore umanitario e sociale. Ma, proprio per la sua delicatezza e complessità, richiede esclusivamente persone ben formate, motivate, e con una lucida consapevolezza di quello che si stanno impegnando a fare.

Troppo spesso, infatti, è possibile vedere iniziative o gruppi scarsamente strutturati, che cercano "volontari" da inviare - con scarse garanzie e supporti - in scenari operativi molto complessi, in cui la "buona volontà" e l'idealismo non possono essere sufficienti.

Questo dell'"umanitarismo" è un fenomeno niente affatto nuovo: gli esempi più eclatanti si sono registrati, in tempi recenti, durante le crisi balcaniche del decennio scorso, quando moltissimi gruppi (a volte dalla scarsa o nulla preparazione organizzativa) si sono "inventati" numerose - quanto spesso scoordinate - azioni di supporto alla popolazione civile delle aree coinvolte. L'effetto di tali iniziative, pur nobilissime e significative da un punto di vista umano, è spesso quello di creare ulteriori difficoltà ad enti ed istituzioni deputate alla gestione "professionale" della situazione, complicandone il quadro di sicurezza, il carico gestionale e coordinativo dei mille gruppi e gruppetti che si muovono come cani sciolti su un territorio difficile e pericoloso, aumentando le occasioni di rischio.

Anche per i "volontari", il partire senza essere inquadrati in una matrice organizzativa seria e ben rodata, all'interno di un quadro di sicurezza verificato e con una buona preparazione di base nelle tecniche operative che si dovranno implementare nello scenario rischia di trasformare un'importante ed utile occasione di cooperazione internazionale in una sorta di "turismo umanitario mordi-e-fuggi", dalle scarse ricadute concrete e dai molti rischi certi (anche per la propria incolumità personale).

L'improvvisazione dilettantesca e la semplice "buona volontà", nella cooperazione internazionale, sono assolutamente insufficienti, ed a volte assai deleteri.
Di "cooperatori" che sono stati uccisi, rapiti, feriti od hanno subito violenze di vario genere, purtroppo, ce ne sono stati centinaia in tutto il mondo, negli ultimi pochi anni.
Spesso, quanto è loro accaduto è collegabile al mancato rispetto di elementari procedure di sicurezza, od all'assenza di una minima capacità organizzativa del loro gruppo di afferenza. Al contrario, chi si è trovato in situazioni "difficili" ma aveva alle spalle gruppi organizzati realmente seri ne è uscito solitamente con molti meno problemi.

Come "muoversi", dunque, soprattutto se si vuole partire per una meta "a rischio" ?

1. Controllate bene con chi partite.

In primo luogo, se qualcuno (persona, associazione di volontariato o gruppo locale) vi propone di "partire per un interessante progetto", e vi chiede di fidarsi solo della sua parola e/o di una documentazione ridotta all'osso, scappate a gambe levate. Non importa se il progetto "sembra" interessante. Safety is the paramount.
Se non si tratta di una grande ONG o di un'associazione ben nota e "rodata", chiedete sempredi verificare bene le credenziali dell'associazione. Verificate la documentazione, e fate ricerche approfondite sulla nomea del gruppo, la sua reale esperienza operativa, le sue capacità organizzative. Chiedete di discutere attentamente le procedure operative, gli aspetti logistici implementati, le procedure di sicurezza per i cooperanti inviati nel teatro operativo. Cercate di farvi un'idea della reale conoscenza e contatti locali che hanno sul terreno. Verificate tutto, a costo di essere seccanti. Stiamo parlando sia della vostra incolumità, che della reale concretezza ed utilità del progetto che andrete a svolgere.

Davanti alle vostre legittime richieste di informazioni chiare ed approfondite sulle procedure di sicurezza ed i piani di contingenza, NON accettate mai discorsi "manipolatori" del tipo: "Senti, se non ti fidi di noi, puoi anche fare a meno di partire": se ve lo fanno, alzatevi ed uscite immediatamente. Rischiereste infatti di partire con dilettanti pericolosi e sconsiderati, ed andandovene immediatamente vi eviterete probabilmente un sacco di guai (non vi preoccupate: di occasioni per partire e lavorare molto più professionalmente ne troverete comunque, con gruppi molto più seri ed organizzati).

2. Fatevi un quadro chiaro ed aggiornato della situazione.

Raccogliete informazioni aggiornate sul paese e l'area verso cui state partendo. Controllate sui principali siti informativi di settore lo stato della situazione, i problemi segnalati nella vostra zona, le procedure generali di sicurezza consigliate.
Ad esempio, iniziate con il sito Viaggiare Sicuri del nostro Ministero Affari Esteri. Riporta informazioni preziose ed aggiornate regolarmente su tutti i paesi del mondo, con indicazioni pratiche di assoluta utilità per chi vi si deve recare (cooperanti compresi), aggiornamenti di sicurezza, etc.

Con l'occasione ricordatevi di registrarvi anche sul sito correlato "Dove Siamo nel Mondo", di essenziale utilità per facilitare le operazioni di supporto del MAE in caso di incidenti in loco o aggravamenti di crisi; la registrazione è semplicissima e gratuita, e si può fare in pochi secondi qui: https://www.dovesiamonelmondo.it/

Proseguite poi con ReliefWeb, che riporta informazioni aggiornate quotidianamente su gran parte dei paesi del mondo e delle relative situazioni di crisi. ReliefWeb è una risorsa informativa senza pari, soprattutto se pensate di muovervi in contesti ad alto rischio.


3. Preparate voi stessi.


Controllate di essere in regola con i vostri documenti (passaporto, eventuali visti, accreditamenti). Non separatevene mai, e fatene una copia di sicurezza da tenere in un altro posto. Fate per tempo tutte le vaccinazioni obbligatorie per il paese in cui vi state recando e, se possibile, anche tutte quelle consigliate. Ricordatevi che alcuni tipi di cicli di profilassi vaccinale devono essere avviati mesi o settimane prima della partenza, dunque non informatevi all'ultimo momento.

Stipulate (o verificate che l'associazione con cui partite abbia stipulato - ed a quali esatte condizioni) un'assicurazione sanitaria e di viaggio (e, possibilmente anche una vita/infortuni). Esistono molti "provider assicurativi" seri che possono fornire, a prezzi adeguati, coperture sanitarie per l'estero. L'assicurazione non solo deve coprire le eventuali spese sanitarie d'urgenza in loco, ma dovrebbe garantire anche la possibilità di evacuazione sanitaria in caso di emergenza o di gravi patologie. Verificate minuziosamente a quali condizioni e premi l'assicurazione è applicabile allo specifico paese nel quale vi recate, prestando particolare attenzione ai "dettagli assicurativi" relativi al tipo di rischi coperti ed a quelli non coperti.

Fate un check-up per verificare il vostro stato di salute e, se state via per diversi mesi, fate anche un bel controllo odontoiatrico prima di partire (questi ultimi sono soldi spesi molto, molto, bene!).

Procuratevi e studiatevi bene le guide operative di sicurezza per chi coopera in contesti ad alto rischio. Sul serio, non è tempo perso.
Ve ne sono tre di particolare rilievo, che mi sento di suggerire. La prima è l'ottimo Security and Safety Handbook di CARE International, liberamente accessibile qui.

Il secondo è il classico Staying Alive, il manuale per la sicurezza operativa della Croce Rossa Internazionale, liberamente scaricabile da questa pagina.

Il terzo è un voluminoso manuale "cartaceo" (più di 1.000 pagine), considerato il classico testo di riferimento per i viaggi verso destinazioni ad alto rischio: Robert Young Pelton, The World Most Dangerous Places, 5° Ed. (2003).

Mentre le prime due guide sono di taglio istituzionale, quest'ultimo è un testo scritto con uno stile molto (*molto*) più informale, con informazioni anche piuttosto eterogenee, e con un taglio che alcuni cooperatori potrebbero trovare troppo "estremo" nel suo penchant a favore di un certo modo di intendere il rischio. In altre parole, è un testo molto diffuso tra avventurieri, operatori militari, "contractors" di sicurezza, inviati di guerra. Ciò nonostante, fornisce utilissimi consigli pratici, indicazioni importanti sugli scenari geopolitici di molti dei paesi frequentemente oggetto di missioni di cooperazione, ed utili informazioni contestuali.

Soprattutto, partecipate a tutti i briefing operativi e di sicurezza che l'organizzazione dovrebbe predisporre prima della vostra partenza; una volta in loco, seguite attentamente tutte le indicazioni di merito che vi verranno fornite dai responsabili associativi.

In generale: usate la testa.
Siete lì per aiutare a costruire soluzioni, non per diventare a vostra volta parte del problema.

Luca