09 novembre 2005

Attentati e psicologi dell'emergenza

Sfuggo brevemente al mio "dovere", che in queste settimane sarebbe concentrarsi esclusivamente su una monografia sui disastri idrici che devo concludere entro breve… il materiale su New Orleans è lì, quasi risistemato, ma anche quello è ancora in stand-by per via delle mie scadenze lavorative. A breve arriverà, ma per adesso preferisco approfittare di queste brevi pause per parlare brevemente d'altro.

Si parla in questo periodo di possibili attentati terroristici anche in Italia; dopo Madrid e dopo Londra, si parla insistentemente di una grande città italiana come futuro, possibile, obbiettivo del terrorismo. Difficile sapere se e quando avverrà un evento del genere, ma, per quanto ci riguarda, ci si può chiedere se gli psicologi dell'emergenza italiani siano "preparati" per un evento del genere. "Essere preparati" e "attentato terroristico", messi nella stessa frase, sembrano un'impossibilità logica. Effettivamente, l'esperienza di altre città (Madrid in primis) insegna che "essere preparati" è praticamente impossibile.
Anche per gli psicologi, il lavoro in un contesto post-attentato riveste significati ed emozioni molto forti, che inevitabilmente non possono non invadere il campo della relazione di sostegno peritraumatico. Se già il lavoro in emergenza comporta la necessità "ordinaria" di elaborare carichi emotivi a volte molto intensi, il lavoro in uno scenario di "violenza organizzata di massa" impone allo psicologo l'incontro con un'ulteriore livello di emozioni profonde e magmatiche, che animano "fantasmi" individuali e sociali di difficile elaborazione.
Lo psicologo è parte della popolazione colpita, e nelle ore e giorni immediatamente successivi ad un grave attentato, che magari ha colpito proprio la sua città, le sue emozioni ed i suoi vissuti si muovono su due piani: quello di soccorritore che lavora con persone che hanno subito una forte traumatizzazione (quelle derivate da violenze terroristiche sono del resto tra le più difficili da elaborare), e quello di cittadino che sente, inevitabilmente, violato il suo personale senso di sicurezza individuale e collettiva.

Basta a questo proposito rileggere il lucidissimo, stimolante, articolo di John Jones, uno degli psicologi che coordinarono gli interventi clinici dopo l'attentato di Oklahoma City, nel 1995 (un camion-bomba causò 169 morti), reperibile su www.psychomedia.it, nella sezione "Società, Trauma, Solidarietà".
La sua riflessione critica sull'inevitabilità, per il terapeuta, del dover mettere in gioco i propri personali vissuti emotivi, quando l'attentato colpisce al cuore la stessa comunità sociale in cui il terapeuta vive e lavora, può fornire molti spunti di riflessione agli psicologi che purtroppo potrebbero trovarsi a vivere una situazione del genere in futuro.

A Madrid ci sono infatti stati diversi casi di psicologi che, accorsi per portare aiuto, sono stati in breve travolti dalle proprie emozioni personali di paura e confusione, ovviamente molto forti nelle ore successive all'attentato, e brutalmente riattivate dal contatto relazionale con le vittime ferite o i parenti dei deceduti. Questo ha portato, in alcuni (pochi) casi, a gravi problemi nel rapporto con i parenti, ed alla creazione di situazioni molto difficili e dolorose anche per alcune vittime.
Fortunatamente, nella grande maggioranza dei casi i colleghi spagnoli hanno lavorato con determinazione e professionalità, ottenendo comunque risultati importanti nell'opera di sostegno alla popolazione ed alle vittime.

Quindi, la riflessione teorico-clinica, la preparazione personale, e soprattutto, l'organizzazione di "Servizi" di psicologia dell'emergenza che permettano la costituzione una "struttura a rete" di sostegno reciproco tra gli psicologi coinvolti rappresentano degli assetti fondamentali, per l'intervento in tali contesti; fondamentale è poi il ruolo delle Esercitazioni specifiche di Protezione Civile per eventi di questo tipo.
Quelle tenute questo autunno in varie città d'Italia hanno visto la partecipazione di diversi nuclei e squadre organizzate di psicologi dell'emergenza (ad esempio, il Servizio Psicologico di Emergenza della P.C. - Regione Lombardia / OPL, in quella di Milano; dei gruppi convenzionati a quelle di Roma e di Napoli; di consulenti psicologi a quella internazionale di Catania, etc.). Nel complesso, l'efficienza e la funzionalità dei gruppi di psicologi dell'emergenza italiani si è dimostrata più che buona. Certamente, le simulazioni non possono mai garantire che il "comportamento reale" sia equivalente, ma la situazione italiana del settore, anche solo rispetto a qualche anno fa, è radicalmente migliorata: adesso esistono Servizi riconosciuti e convenzionati con enti pubblici; patrimoni di pratiche che iniziano a diffondersi nella comunità di settore; corsi universitari e post-universitari di buon livello; associazioni professionali molto attive e diffuse sul territorio; gruppi di lavoro ufficiali degli Ordini degli Psicologi, etc.
Se si pensa a "come eravamo messi" anche solo fino a otto o dieci anni fa, non si può non riconoscere l'enorme evoluzione del panorama italiano di settore in questi pochi anni.
Anche se, sicuramente, rimane da fare ancora molto (moltissimo, per certi versi).

Un saluto a tutti,
Luca