07 ottobre 2006

Materiali - Lab. 4 - Emergenze Internazionali

La Progettazione degli interventi psicosociali nelle emergenze internazionali

Il periodo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta ha rappresentato una fase topica nel percorso di integrazione della Psicologia nell’ambito delle emergenze internazionali. E’ con le guerre jugoslave infatti, quella bosniaca prima, quella kossovara poi, che i progetti di assistenza psicologica alle vittime dei conflitti armati si sono affiancati in modo massiccio ai tradizionali interventi di tipo sanitario, nutrizionale, abitativo e socio-assistenziale caratteristici degli interventi nelle emergenze complesse. Si calcola infatti che nelle guerre jugoslave in complesso siano stati finanziati e realizzati 185 programmi psicosociali. Da allora la funzione psicologica nell’aiuto umanitario è andata via via consolidandosi anche in contesti ove potrebbe apparire culturalmente lontana come in Africa.

Le aree principali in cui oggi si attivano progetti psico – sociali sono, oltre alle catastrofi naturali come lo Tsunami, l’assistenza ai rifugiati, la tutela minorile, relativa a fenomeni quali i bambini di strada o i bambini soldato, l’assistenza psicologica alle vittime di violazione dei diritti umani, violenze sessuali, tortura, “pulizie etniche”.
Ma come si definisce in concreto un intervento psicosociale ? Si tratta di un insieme di azioni finalizzate a restituire ai singoli e alla comunità il benessere psicosociale compromesso dalla catastrofe valorizzando le risorse locali, ove per “benessere psicosociale” si intende la compresenza di tre fattori: la funzionalità individuale, cioè la salute psico – fisica e il repertorio di conoscenze e competenze di una persona, l’ecologia sociale, cioè le relazioni sociali e la rete di supporti su cui l’individuo può contare, il sistema culturale – valoriale, cioè lo specifico contesto comunitario che influenza l’esperienza degli eventi, l’attribuzione di significato e le risposte alle difficoltà della vita.

Le situazioni di emergenza compromettono il benessere psicosociale delle popolazioni colpite su diversi piani: in primo luogo, la funzionalità individuale può venire compromessa da sindromi depressive, dallo sconvolgimento della vita sociale o da disabilità fisiche; la morte di persone provoca la perdita di manodopera nelle famiglie e nella comunità. Anche il sentimento di perdita del controllo sugli eventi contribuisce a indebolire la capacità di far fronte ai problemi. In secondo luogo, le guerre e i disastri naturali possono portare alla distruzione dell’ecologia sociale di una comunità, modificando le relazioni tra le famiglie e rendendo difficile il funzionamento delle organizzazioni civili e religiose. La cultura e i valori di una comunità infine possono venire sconvolti quando sono negati i valori comuni e violati i diritti umani. Può diventare difficile in questi casi osservare le tradizioni culturali che davano un senso di unità e di identità comunitari. I conflitti possono anche aumentare o rinforzare l’immagine negativa di altri gruppi politici, religiosi, etnici portando a una escalation di violenza e odio.

In tutti questi casi, quando una emergenza colpisce paesi che non posseggono risorse strutturali ed economiche in grado di far fronte alla catastrofe, si configura l’intervento internazionale, finanziato e indirizzato dalle grandi agenzie intergovernative, ONU e Unione europea, o governative, i singoli stati, e realizzato in gran parte dalle agenzie non governative. Per tali interventi, che si realizzano in contesti caratterizzati dalla precarietà, spesso dalla instabilità, in una dimensione quindi estremamente complessa che richiede una accurata programmazione, lo strumento di elezione è rappresentato dal progetto, una cornice operativa i cui obiettivi, metodologie, mezzi, costi e tempi sono predefiniti in base a puntuali studi di fattibilità che tengono conto di tutte le variabili in gioco.

Ciò vale per ogni tipo di intervento, anche per quelli psicosociali. A parte le emergenze immediate, ove si applicano gli standard dello Psychological First Aid (PFA), l’intervento psicosociale nelle emergenze internazionali si colloca infatti prevalentemente nelle situazioni di post emergenza e di riabilitazione. In questi casi l’utilizzazione di uno strumento come il progetto è indispensabile sia per garantire la qualità degli interventi sia per ottenere i finanziamenti dai donors sia infine per costruire una base di negoziazione con le controparti locali.
Il termine “progetto psicosociale”, che è andato ormai affermandosi in campo internazionale, è stato preferito ad altri per precisi motivi. Nel passato molti progetti concernenti la salute mentale erano basati unicamente sulla presa in carico psichiatrica. Se è vero che nelle comunità colpite vi sono sempre pazienti psichiatrici cronici e soggetti gravemente traumatizzati che necessitano di adeguati trattamenti e tutela, in realtà ogni evento traumatico provoca stress e sofferenze che hanno un forte impatto sugli individui e le comunità. Stress e sofferenza non sono malattie psichiatriche, ma normali reazioni a eventi violenti e straordinari e classificarle come psichiatriche è inappropriato.

Il termine “intervento psicosociale” appare quindi preferibile in quanto da una parte enfatizza la stretta connessione tra gli aspetti psicologici (pensieri, emozioni e comportamenti) e quelli sociali (interrelazioni, tradizioni, valori e cultura) e la loro interdipendenza, dall’altra evita il rischio di una stigmatizzazione delle popolazioni colpite dalla catastrofe che potrebbero non riconoscersi nelle categorie nosologiche occidentali; implica infine che nelle emergenze complesse l’intervento psicologico, per avere significato, non deve restare isolato ma accompagnarsi a contestuali interventi di altro tipo rispondenti a bisogni primari dei beneficiari, quali quelli socio-economici, socio-educativi e socio-sanitari.

Dott. Paolo Castelletti

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