29 marzo 2005

Ancora morte nel Sud-Est asiatico

Lo Tsunami Asiatico colpì il giorno dopo Natale; ed ecco che il giorno dopo Pasqua ci ritroviamo tutti davanti alla televisione, a seguire le notizie di un secondo, grande, terremoto vicino a Sumatra.
Le prime notizie indicano 1.000 o 2.000 vittime, contro le circa 300.000 dell'altra volta.

Tre o quattro i fattori che hanno contribuito probabilmente a questa differenza: l'intensità del terremoto (di circa un punto Richter inferiore a quello di Natale; essendo una scala logaritmica, un punto Richter in meno significa un'energia di 32 volte inferiore); la direzionalità del moto ondoso, che si è dispersa verso sud invece che verso est ed ovest (dove si trovano le terre emerse a più alta densità abitativa dell'Oceano Indiano); l'esperienza del primo Tsunami, che ha spinto immediatamente le popolazioni delle aree a rischio ad attuare la strategia più semplice ed efficace: l'allontanamento rapido ed immediato dalle zone costiere.

Un altro fattore che potrebbe aver contribuito è la maggiore profondità dell'ipocentro, stimato a circa 30 km sotto il livello del mare, rispetto a quello del 26 dicembre (circa 10 km di profondità). La maggiore profondità ha ridotto la diffusione dell'energia alla massa idrica sovrastante, riducendo significativamente l'intensità dello tsunami conseguente.

Purtroppo sono sempre i gravi eventi ad "insegnare" in maniera indelebile le strategie di comportamento efficaci...

2.000 morti sono comunque un numero altissimo, ed andrebbero considerate come numero "assoluto"... qualunque confronto "relativo" (2.000 rispetto a 300.000) è solo l'esito di un'euristica cognitiva, che rischia di farci pensare "ah, beh, sono morti in pochi", quando in realtà si parla di migliaia e migliaia di vite interrotte.

25 marzo 2005

I Medici del CUAMM in quarantena dopo la morte di una volontaria

Dal Corriere Online di oggi:

Angola: epidemia, 7 veneti in quarantena

PADOVA - Sono 7 i medici del Cuamm (Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari) di Padova, quasi tutti veneti, che si trovano in quarantena a Luanda, capitale dell'Angola, perche' si sospetta abbiano contratto il virus del morbo di Marburg, febbre emorragica simile all'Ebola. Lo conferma il dottor Giovanni Putoto, del Cda dell'organizzazione non governativa. Altri otto volontari invece sono ancora al lavoro nella provincia di Uige. Ieri a Luanda e' deceduta Maria Bonino, pediatra volontaria di "Medici per l'Africa-Cuamm". (Agr)

LUANDA (ANGOLA)
- Cresce l'allarme in Angola per l'estendersi dell'epidemia di febbre emorragica. È infatti salito ad almeno 113 il computo delle vittime dell'epidemia provocata in Angola dal virus di Marburg, causa di una febbre emorragica simile a quella del morbo di Ebola. Lo hanno reso noto fonti del ministero della Sanità a Luanda, secondo cui ben 111 tra i morti sono concentrati nella provincia settentrionale di Uige, la più colpita.

Gli altri due si sono registrati nella capitale: un quindicenne e anche la pediatra italiana Maria Bonino, 51 anni, di Aosta, che da undici anni operava in Africa, e che prestava la sua opera presso l'ospedale provinciale di Uige. Volontaria di «Medici con l'Africa-Cuamm», la dottoressa aveva cominciato a manifestare gravi sintomi il 19 marzo, e nella notte del 23 le sue condizioni si erano improvvisamente aggravate.

La malattia, che si propaga attraverso il contatto con i fluidi delle persone già contaminate, fu diagnosticata per la prima volta nel 1967 nella città tedesca di Marburg: una forte febbre, seguita da emorragie interne, assalì i lavoratori di un laboratorio che erano venuti a contatto con scimmie infette, provenienti dall'Uganda.




23 marzo 2005

Acqua e Disastri

Molti non lo sanno, anche se lo Tsunami del 26 dicembre potrebbe aver fatto venire qualche dubbio.
Se si chiedeva, fino ad un pò di tempo fa, quale è il disastro che causa più vittime, spessissimo la prima risposta era "il terremoto", o "le eruzioni vulcaniche".
In realtà, la categoria di disastri naturali che uccidono di più non è (e non è mai stato) nè il terremoto nè l'eruzione vulcanica, quanto... i disastri idrici.
Inondazioni, alluvioni e tsunami sono infatti i fenomeni calamitosi che più di ogni altro fanno vittime umane, e causano enormi danni economici (in particolare nei paesi in via di sviluppo).

Per capirne di più, può valere la pena andare a studiarsi le interessantissime tabelle di sinossi del CRED, il celebre Centro per l'Epidemiologia dei Disastri dell'Università di Lovanio.

Si può così scoprire che molte delle nostre preconcezioni o modelli mentali dei "disastri" sono piuttosto diversi dalla realtà...

Paradossalmente, una delle grandi emergenze del 21° secolo (anche a causa delle dinamiche climatologiche) sarà proprio la carenza di acqua, la siccità, la grande estensione delle zone desertificate ed il peggiormento della qualità delle acque... centinaia di milioni di persone soffrono attualmente per la carenza di acqua, mentre centinaia di migliaia vengono uccise dalla forza dell'acqua.

In entrambi i casi, il ruolo dell'azione antropica è centrale nel peggiorare i processi e le condizioni di interazione tra comunità umane e risorse idriche: il "disastro" deriva sempre dall'interazione tra processi naturali ed antropici (spesso un pò troppo "disarmonici": basti pensare alle costruzioni costiere o golenali in aree ad altissimo rischio alluvionale, di cui anche in Italia abbiamo molti esempi...)

Acqua che dà la vita, acqua che la toglie... un tema complesso e delicatissimo, oggetto di molte delle riflessioni e dei lavori del World Water Day, la Giornata Mondiale dell'Acqua (che si celebra, sotto gli auspici dell'ONU, il 22 marzo di ogni anno).
Dateci un'occhiata !

Sono queste molte delle "maxiemergenze" con cui ci dovremo confrontare, anche come psicologi, nei prossimi anni e decenni...

Un saluto ed un augurio di Buona Pasqua a tutti,
Luca

10 marzo 2005

Basta essere "psicologi" per essere "psicologi dell'emergenza" ?

Uno psicologo dell'emergenza, per definizione, ha due identità: quella di psicologo (e fin qui quasi ci siamo; mi riservo a qualche periodo futuro la riflessione sulla differenza tra "psicologo" e "psicotecnico"), e quella di operatore dell'emergenza.
Banale ? Non esattamente.

Troppo spesso chi vuole fare lo psicologo dell'emergenza si dimentica che, prima che essere psicologo, deve essere appunto un "operatore dell'emergenza", qualificato e formato per questo.
Questo ha varie conseguenze, troppo spesso dimenticate dai vari "wannabe-salvo-tutti-mi", cioè da chi parte psico-rambescamente per portare la sua presunta scienza terapeutica negli scenari dei disastri senza minimamente sapere cosa è un disastro e come operano tutti gli altri volontari e professionisti dell'emergenza che gli si muovono intorno.

Si può fare lo psicologo dell'emergenza senza aver ricevuto un breve ma solido training di base nelle "tecniche dell'emergenza" ? Ovvero, è possibile andare a fare lo psicologo in contesti di emergenza senza sapersi nemmeno muovere in tali contesti ?

Alcuni psicologi ritengono che il loro ruolo di psicologi li ponga automaticamente "al di sopra" di tali necessità "terrene".
"In fondo, dicono, non sono certo io a dover usare una motopompa; lo faranno altri". E' vero, in condizioni ordinarie lo faranno altri. Questo però non esime lo psicologo, che deve avere una comprensione di base a 360° di quello che gli succede intorno, dal capire cosa fa, in concreto, chi deve usare una motopompa.
Ma non solo, c'e' di più. Sapersi "muovere in emergenza" significa anche sapersi tutelare quando le normali "regole di vita quotidiana" non valgono più.

Domande banali, ma da cui si ottengono spesso risposte inquietanti: prendete 10 laureati e qualificati psicologi dell'emergenza, e chiedete loro tre o quattro semplici cose, assolutamente scontate per ogni volontario di Protezione Civile di diciott'anni... ad esempio...

1 - Cos'e' un "Estricatore" ?

2 - Come si orienta l'estintore rispetto alle fiamme quando si spegne un principio di incendio ?

3 - Quale è la prima "struttura" che si deve montare in un campo di accoglienza ?

4 - Con cosa ci si disinfetta, esattamente, dopo essersi fatti un taglio all'aperto ?

Sembrano banali ?
Forse sono le risposte che abbiamo già in mente, e che riteniamo automaticamente giuste, a farcelo pensare... le risposte "esatte" (che a volte sono controintuitive) le metterò in futuro sul Blog. Intanto pensateci !
Il nucleo del problema è che lo psicologo che pensa che per lavorare in emergenza basti una "competenza psicologica", potrebbe scoprire che quello che immaginava è molto diverso dalla realtà...

E' per questo che credo che nessuno possa definirsi "psicologo dell'emergenza" se prima non ha seguito almeno un corso di Pronto Soccorso (tipo BLS) ed un corso-base per Volontari di Protezione Civile.

Saper fare una saccata (o sapere come viene fatta), saper usare un estintore, saper montare una tenda, saper badare a sè stessi in mezzo ad un campo di accoglienza (che è molto più difficile di quanto si pensi), conoscere le regole di autoprotezione e autosoccorso valide nei contesti "difficili" in cui si va ad operare, non solo rende lo "psicologo normale" uno psicologo in grado di muoversi in sicurezza in queste situazioni, ma anche un professionista in grado di coordinarsi in maniera più efficace con tutti gli altri enti e persone con cui lavora fianco a fianco.

In fondo, se è lo psicologo per primo a non capire cosa gli succede intorno (procedure, modalità di intervento, aspetti "culturali" e operativi degli altri enti e gruppi di soccorso), come può aiutare i suoi assistiti a "capire che cosa sta succedendo" ?

09 marzo 2005

11-M

11-M: 11 marzo 2004, Madrid.

L'attentato, di cui sta per cadere il primo anniversario, causò 191 morti ed un'ondata di stupore ed emozione in tutto il mondo. Il dramma, definito giustamente l'11 Settembre europeo, ha portato con sè il peso delle sequele post-traumatiche per centinaia e migliaia di persone.
Un'eccellente ed ampia scheda informativa multimediale, con grafici, tabelle, informazioni, carte su quello che successe un anno fa è consultabile qui: http://www.cadenaser.com/comunes/2004/11m/portada.html

La mobilitazione dei servizi di soccorso sanitario, e delle strutture di assistenza psicologica "ordinaria" presenti sul territorio, oltre alla grande collaborazione e generosità degli psicologi madrileni, permise in quei terribili giorni di erogare servizi di supporto psicologico a moltissime "vittime" di questo evento.

Renata Cavalli, una masterizzanda di madrelingua spagnola del Master di Psicologia dell'Emergenza dell'Università di Padova (http://emergenza.psy.unipd.it), si è recata nell'estate del 2004 a Madrid, raccogliendo ed organizzando per alcune settimane le testimonianze dei responsabili di tutte le associazioni professionali e degli enti pubblici che si sono occupati di gestire l'emergenza psicologica dell'11-M.
Spero che sia presto possibile consultare online un estratto del suo ottimo lavoro, che rappresenta in maniera fedele le complesse dinamiche organizzative attivate da un'evento catastrofico di simile portata.

07 marzo 2005

Repubblica.it: Lacrime e dolore, l'Italia si stringe attorno al feretro di Nicola Calipari

Repubblica.it: Lacrime e dolore, l'Italia si stringe attorno al feretro di Nicola Calipari

Da Repubblica.it: "Uno Schindler africano nell'inferno del genocidio"

Da Repubblica.it: "Uno Schindler africano nell'inferno del genocidio"

"Hotel Rwanda" è un film che cerca di raccontare il genocidio attraverso la prospettiva di una persona particolare, coraggiosa, un Hutu che ha salvato 1.200 Tutsi durante i giorni infernali dei massacri per le strade. Non ha vinto gli Oscar che sperava (a quando però, oltre agli Oscari per gli Effetti Sonori, i Costumi e quant'altro, anche un Oscar per l'Impegno Sociale ?), ma l'importante è il messaggio che vuole passare... e soprattutto che qualcuno continui a fare film del genere.