10 marzo 2005

Basta essere "psicologi" per essere "psicologi dell'emergenza" ?

Uno psicologo dell'emergenza, per definizione, ha due identità: quella di psicologo (e fin qui quasi ci siamo; mi riservo a qualche periodo futuro la riflessione sulla differenza tra "psicologo" e "psicotecnico"), e quella di operatore dell'emergenza.
Banale ? Non esattamente.

Troppo spesso chi vuole fare lo psicologo dell'emergenza si dimentica che, prima che essere psicologo, deve essere appunto un "operatore dell'emergenza", qualificato e formato per questo.
Questo ha varie conseguenze, troppo spesso dimenticate dai vari "wannabe-salvo-tutti-mi", cioè da chi parte psico-rambescamente per portare la sua presunta scienza terapeutica negli scenari dei disastri senza minimamente sapere cosa è un disastro e come operano tutti gli altri volontari e professionisti dell'emergenza che gli si muovono intorno.

Si può fare lo psicologo dell'emergenza senza aver ricevuto un breve ma solido training di base nelle "tecniche dell'emergenza" ? Ovvero, è possibile andare a fare lo psicologo in contesti di emergenza senza sapersi nemmeno muovere in tali contesti ?

Alcuni psicologi ritengono che il loro ruolo di psicologi li ponga automaticamente "al di sopra" di tali necessità "terrene".
"In fondo, dicono, non sono certo io a dover usare una motopompa; lo faranno altri". E' vero, in condizioni ordinarie lo faranno altri. Questo però non esime lo psicologo, che deve avere una comprensione di base a 360° di quello che gli succede intorno, dal capire cosa fa, in concreto, chi deve usare una motopompa.
Ma non solo, c'e' di più. Sapersi "muovere in emergenza" significa anche sapersi tutelare quando le normali "regole di vita quotidiana" non valgono più.

Domande banali, ma da cui si ottengono spesso risposte inquietanti: prendete 10 laureati e qualificati psicologi dell'emergenza, e chiedete loro tre o quattro semplici cose, assolutamente scontate per ogni volontario di Protezione Civile di diciott'anni... ad esempio...

1 - Cos'e' un "Estricatore" ?

2 - Come si orienta l'estintore rispetto alle fiamme quando si spegne un principio di incendio ?

3 - Quale è la prima "struttura" che si deve montare in un campo di accoglienza ?

4 - Con cosa ci si disinfetta, esattamente, dopo essersi fatti un taglio all'aperto ?

Sembrano banali ?
Forse sono le risposte che abbiamo già in mente, e che riteniamo automaticamente giuste, a farcelo pensare... le risposte "esatte" (che a volte sono controintuitive) le metterò in futuro sul Blog. Intanto pensateci !
Il nucleo del problema è che lo psicologo che pensa che per lavorare in emergenza basti una "competenza psicologica", potrebbe scoprire che quello che immaginava è molto diverso dalla realtà...

E' per questo che credo che nessuno possa definirsi "psicologo dell'emergenza" se prima non ha seguito almeno un corso di Pronto Soccorso (tipo BLS) ed un corso-base per Volontari di Protezione Civile.

Saper fare una saccata (o sapere come viene fatta), saper usare un estintore, saper montare una tenda, saper badare a sè stessi in mezzo ad un campo di accoglienza (che è molto più difficile di quanto si pensi), conoscere le regole di autoprotezione e autosoccorso valide nei contesti "difficili" in cui si va ad operare, non solo rende lo "psicologo normale" uno psicologo in grado di muoversi in sicurezza in queste situazioni, ma anche un professionista in grado di coordinarsi in maniera più efficace con tutti gli altri enti e persone con cui lavora fianco a fianco.

In fondo, se è lo psicologo per primo a non capire cosa gli succede intorno (procedure, modalità di intervento, aspetti "culturali" e operativi degli altri enti e gruppi di soccorso), come può aiutare i suoi assistiti a "capire che cosa sta succedendo" ?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Luca,
sono ancora io, Piero, e vorrei porti una domanda:
perche' essere "psicologi" deve significare "possedere scienza terapeutica"?
Io "esco" dal ramo Psiocologia generale e sperimentale e non possiedo molto di scienza terapeutica, quanto, abbastanza, di un'impostazione da "ricercatore"...
Certo che nella Psicologia dell'emergenza non vedo un modo per fare ricerca (senza negare che cio' sia possibile).
Non e' che siamo un po' troppo condizionati a leggere acriticamente l'equazione pisoclogo=psicoterapeuta (o terapeuta in genere)?
Come me ci sono i colleghi che escono dall'(ex)indirizzo sociale e da quello dello sviluppo, forse anche loro "poco" terapeuti.
Con i primi di questi credo di avere in comune almeno un dubbio:
non e' che lo psicologo dell'emergenza debba essere uno psicologo di forte formazione trasversale e poco di formazione clinica???
Credo dovremmo parlarne anche in relazione all'attuale impostazione che il Master proposto dall'Universita' di Padova sta proponendo quale "modello" per la formazione di uno psicologo dell'emergenza.
Che ne dici?
A presto
Piero Visentini

Anonimo ha detto...

FORMAZIONE CLINICA E SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE

di LAURA TUSSI

Recensione al libro a cura di Anna Rezzara e Stefania Ulivieri Stiozzi, Formazione Clinica e Sviluppo delle Risorse Umane, Angeli, 2004

La formazione clinica condivide scelte con altri approcci educativi come la formazione degli adulti, presentando caratteristiche e categorie attive, euristiche, costruttive, interattive nel complesso dell’acquisizione del sapere e delle relative e rispettive competenze, ripercorrendo la centralità della dimensione apprenditiva e la priorità nella conoscenza dei processi di attribuzione del significato e dell’acquisizione dei saperi. I modelli del pensiero e dell’azione si rivelano come strategie mentali e operative. Nella zona residuale del processo di dispositivo della clinica qualcosa sfugge e denuncia l’impossibilità di controllare i contenuti del pensiero di ogni individuo. La cornice artistica è la metafora teatrale nella pratica di trasfigurazione del dispositivo per restituire e donare al mondo, con portato narrativo, elaborazione creativa, conoscenza ed eticità, il palcoscenico della formazione nella sua complessità. Dall’opera di Focault il dispositivo rappresenta la struttura portante delle pratiche di potere che conducono alla costituzione della soggettività in senso moderno. Il dispositivo indica lo svolgersi dell’accadere educativo rispetto a condizioni materiali, culturali, simboliche e sociali con reciproci intrecci e stantie sedimentazioni.
La ricerca sul campo è un percorso euristico impostato su indicazioni comunicative, quali deissi (dal greco deiktnain=indicare). La deissi può essere interna con valore emblematico e con discussioni in sottogruppi e esterna con la proposta di un film o un argomento da discutere. La deissi simbolico/proiettiva si sviluppa con laboratori di elaborazioni fantastiche e immaginative creatività. Mediante questi complessi processi, tramite dinamiche relazionali forti e pregnanti di senso, si formano l’autostima, l’autoefficacia e il locus of control, principi educativi essenziali per lo sviluppo di comportamenti e aspettative. La clinica della formazione è una pratica di ricerca, consulenza e supervisione che esplicita dimensioni latenti di esperienza educativa e formativa a qualunque età e contesto in cui narrare, esplorare modelli cognitivi, sperimentare dinamiche affettive nell’ambito di dispositivi pedagogici.

LAURA TUSSI