31 ottobre 2007

Terzo, ampio, commento all'Esercitazione

Riceviamo e pubblichiamo l'attento commento della vice Presidente di PxP Lazio, che avendo figurato come "vittima" durante l'esercitazione, ci porta la sua riflessione e la sua testimonianza sui processi funzionali che l'hanno vista coinvolta.

"UN’ARTE, NON SOLO UNA TECNICA

Uno dei miei migliori docenti della specializzazione nell’Approccio centrato sulla Persona, Chuck Devonshire, delfino di Carl Rogers ed insegnante presso “La Jolla University“ di S.Diego in California, si soffermava spesso con noi studenti su questo concetto: la necessità di acquisire tecniche, del sempre conoscere e saperne di più, ma nella consapevolezza che il nostro lavoro *con la Persona*, nel lungo percorso della Psicoterapia come nel breve incontro che l'emergenza impone, non può che essere anche e soprattutto lo sviluppo di un'attitudine naturale, un’arte del saper ascoltare, del sapersi porre con empatia e rispetto... insomma, UN MODO DI ESSERE, di rogersiana memoria.

Quelle che seguono sono alcune delle riflessioni più importanti che ho fatto dopo la conclusione dell’ ottimo Campo-Scuola di Marco di Rovereto, che ancora una volta ci ha permesso di incontrarci in molti, di tante età, diverse esperienze, diverse provenienze.


Nell'Esercitazione della domenica ho sostenuto il ruolo della madre disperata di una ragazza precipitata dal palco, rimasta priva di sensi e successivamente ricoverata in rianimazione per trauma cranico.

Quando sono stata accompagnata al Posto Medico Avanzato (PMA), ero terrorizzata dall’evento, dall’aver troppo aspettato il soccorso, dal non sapere dove si trovasse mio marito, costretta anche ad assistere alla controversia tra un medico ed uno psicologo che si contendevano mio genero, marito di mia figlia, chiaramente sotto choc, ma non ferito.

Accompagnata nella tenda del Triage sono stata subito travolta dal terzo grado della giovane psicologa che, scheda alla mano, mi chiedeva questo e quello, senza una frase di accoglienza, un "capisco tanto il momento che sta passando, ma sono qui per lei, le farò avere notizie appena ne avremo", e quant'altro sappiamo INDISPENSABILE in situazioni del genere: c’è stato solo il ..."si calmi, stia tranquilla", al quale ho ovviamente risposto malissimo, così come al contatto della sua mano sulle mie gambe, al quale mi sono subito ribellata con un "Non mi tocchi !".

Ho percepito subito la non-attitudine, la mancanza di un minimo di conoscenza di base del come porsi, l’ansia di applicare soprattutto e subito una tecnica... i protocolli di fausta o infausta memoria.

So bene che alcuni dati devono assolutamente essere conosciuti, proprio perché la persona possa essere aiutata di più e meglio, ma è altrettanto necessario che tutti gli psicologi della emergenza siano messi in condizione di avere una preparazione di base almeno relativa al COSA NON FARE O DIRE, forse ancora prima del "cosa fare e dire".

Nel secondo momento, nel quale sono stata accompagnata da altri colleghi nella postazione di sosta ed attesa di notizie del congiunto ferito o peggio, la situazione si è rivelata subito migliore per l’accoglienza ed il supporto offertimi da un altro giovane collega, il quale si è posto nei miei confronti con empatia, tono calmo, emotivamente presente ed accogliente anche sul piano pratico (coperta, acqua, ecc ).

Alle mie continue richieste di vedere mia figlia, di avere notizie, di essere accompagnata all’ospedale da lei, rispondeva con argomenti ragionevoli, cercando di riportarmi alla realtà di una situazione di emergenza nella quale era necessario prima raccogliere i feriti e poi accompagnare i parenti negli ospedali, pur cercando di avere da me notizie relative a qualche parente da contattare.

In questo secondo intervento ho sentito l’attitudine e la conoscenza degli elementi di base dell’intervento psicologico in situazioni di emergenza.

Ciò a cui, invece, mi sono fortemente ribellata come persona sofferente ed impaurita, è stata la pretesa, del resto attivata dal giovane collega solo perché sollecitata da colei che coordinava il gruppo, di trasmettermi informazioni considerate utili in quel momento, quali: "Nei prossimi giorni sarà bene lei mangi leggero, potrebbe soffrire d’insonnia, potrebbe avere balzi d’umore", e così via.

Sono ancora d’accordo sull'utilità di tali notizie da trasmettere... ma vi sembra possibile che una madre terrorizzata, con una figlia in rianimazione, senza sue notizie, senza sapere dove siano il marito e il genero, possa interessarsi a chi le dice che domani dovrà mangiare... "riso in bianco" ?

Ecco di nuovo la tecnica, utile ed indispensabile, ma in ALTRO momento, in ALTRO modo (ben vengano i volantini da porgere con due parole: “So che questo non è il momento perché lei è giustamente tanto preoccupata per sua figlia, ma io le do questo foglietto che lei leggerà, se vuole, quando sua figlia starà meglio, così da conoscere alcune indicazioni che potranno aiutarla ad affrontare i prossimi giorni..."

Conoscere e far uso delle tecniche quindi, delle schede per il Triage (se si modificherà quella per ora proposta sarà solo positivo), ma soprattutto riuscire a trasmettere a tutti noi la consapevolezza che abbiamo di fronte UNA PERSONA IN GRAVE DIFFICOLTA’ PSICOFISICA, alla quale sarà necessario soprattutto offrire presenza, ascolto, rispetto delle emozioni, condivisione e supporto, con lo sguardo, il tono della voce, i silenzi, il vivere le sue emozioni COME SE FOSSERO LE NOSTRE.

Il COME SE è, a mio avviso, la chiave di lettura per ogni incontro tra persone: nell’emergenza, nella quotidianità, nella psicoterapia, in ogni rapporto con gli altri, tanto più se in condizione di sofferenza.

Grazie a tutti coloro che con grande fatica e dedizione ci hanno permesso e speriamo ci permetteranno ancora esperienze tanto significative quanto istruttive.

Ciao, Serena"

Serena Cugini
Vice Presidente "Psicologi per i Popoli - Regione Lazio"

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