30 ottobre 2007

Un secondo, lungo, commento...

Continuiamo la discussione, con questo ricco contributo che ci arriva da un'altra collega che ha partecipato al Campo di Rovereto.

"Carissimo Luca,
con molto piacere ti invio alcune mie riflessioni nate dall’Esperienza del Campo di Rovereto e che vorrei condividere con te e, attraverso di te, con quanti tra i nostri colleghi volessero farlo nell’ottica di una crescita comune e reciproca.

Innanzitutto vorrei parlarti di un elemento che ha colpito molto la mia attenzione (in verità già dalla passata edizione del Campo Scuola) e che sinceramente non mi convince a pieno: quella bellissima ed enorme scritta PSICOLOGO che ho visto comparire in più punti di alcune divise.

Sicuramente essa comporta il riconoscimento di un ruolo importante quale è quello della nostra professione ma, mi chiedo, non potrebbe essa costituire una barriera tra noi e le persone che vogliamo aiutare in una società che purtroppo ed in modo assolutamente errato vede ancora nello Psicologo una figura a cui ci si rivolge solo se si è “matti”? Pensando a quello che è il mio contesto lavorativo quotidiano, quello dei Soccorritori VVF, ti dico che quando sono arrivata per la prima volta al Comando VVF di Roma, il Comandante mi ha presentato al Personale dicendo “Signori, questa è la Psicologa e starà con voi da oggi”. Inizialmente passavo le mie giornate, quasi completamente ignorata se non guardata come la spia di turno, in completo silenzio in un angolo, senza disturbare ma dimostrando la mia presenza: io c’ero sempre e non indosso alcuna scritta PSICOLOGO ma tutti sanno chi sono e cosa faccio perché frequento e pratico realmente la vita della Caserma (mangio con loro, vado al bar con loro e partecipo ai loro momenti di felicità per la nascita di un figlio e a quelli di tristezza per la perdita di un compagno!). Ho smentito con la mia costanza ed il mio comportamento che non ero e non sono una spia, e che quando hanno bisogno sanno che possono contare su di me ma sinceramente credo che se indossassi una scritta o una divisa particolare molto probabilmente a mensa mangerei da sola!

In secondo luogo vorrei condividere con te una riflessione che ritengo basilare e preliminare a qualunque discorso: siamo pronti per lavorare in emergenza e con le figure che ruotano attorno al sistema emergenza? Beh, io non credo, o meglio, non credo che lo siamo tutti!Molti nostri colleghi parlano di setting strutturato in emergenza e operano, o tentano di operare come se si trovassero nel loro studio!Per farti un esempio concreto, durante la simulazione dell’incidente durante la corsa di rally, una nostra collega con tanto di “tuta psichedelica” e scritta a caratteri cubitali PSICOLOGO si è presentata a quello che doveva rappresentare il centro di accoglienza allestito per i codici verdi accompagnando un simulatore ferito ed ha esordito con il personale addetto all’accoglienza del centro dicendo “La signora necessita di essere medicata, mi hanno detto di portarla qui al PMA”…..come possiamo operare in un contesto delicato e complesso come quello di una emergenza se non lo conosciamo e non sappiamo come muoverci al suo interno?
La prima cosa che ci viene richiesta da chi dirige i soccorsi in situazioni simili, e che credo noi gli dobbiamo garantire anche a tutela e sostegno della nostra professionalità e credibilità, è di non esser un ulteriore problema per loro, ma come possiamo non esserlo se non capiamo neanche di cosa parlano?

Dire di essere uno Psicologo dell’Emergenza è molto più facile che esserlo realmente!!! Concordo pienamente con quanto hai scritto qualche tempo fa sul tuo blog delineando il profilo che secondo te deve essere dello Psicologo dell’Emergenza.

Anche questo punto credo sia tanto più vero se vogliamo essere un supporto per i Soccorritori: quando mi parlano della frustrazione per un tentativo fallito di rianimazione io so di cosa mi parlano, quando mi dicono della sensazione che si prova a stare in una camera piena di fumo dove non vedi niente con l’autorespiratore, io so di cosa mi parlano, ed è proprio per questo che ne parlano con me e non con altri!!!!
Trovo molto interessante che sia stata inserita una simulazione di emergenza nel contesto quotidiano perché sono quelle più frequenti e con cui possiamo più spesso trovarci ad operare!!

Un'ultima riflessione vorrei dedicarla alle parole della Dr.ssa Volpini, della Protezione Civile Nazionale: durante il suo discorso ha sottolineato che "gli psicologi dovrebbero seguire i codici verdi in ospedale"…… ti parlo della realtà di Roma, che è quella che conosco e per cui quindi mi permetto di parlare.
I soccorsi sulla scena sono coordinati dall’Ares 118 per ciò che concerne la Funzione Sanità, di cui noi Psicologi facciamo parte; gli Ospedali sono invece gestiti dalle ASL e hanno nel proprio organico degli Psicologi strutturati contrattualmente, che hanno tra i loro compiti quello della gestione delle situazioni di emergenza, sancito nel Piano di Emergenza per il massiccio afflusso di feriti.
A che titolo uno psicologo esterno all’azienda ospedaliera può entrare ed operare lì? Se è autorizzato e “convenzionato” con l’ARES per intervenire sulla scena, chi lo autorizza ad andare in ospedale?
Spero di essere riuscita ad illustrare quali sono le mie riflessioni che spero stimolino un costruttivo dibattito.
Saluti.
Eleonora Iannarelli"

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