19 agosto 2005

ATR72

Alcune brevissimi spunti di riflessione sull'azione degli psicologi dopo l'incidente dell'ATR72.

ATTENZIONE:
quelle che seguono sono solo riflessioni personali, basate esclusivamente su fonti giornalistiche e lanci di agenzia nei giorni seguenti all'incidente dell'ATR72. Se qualche collega che ha partecipato all'intervento o è maggiormente informato dei fatti volesse completare o correggere quanto ho scritto, mi invii una mail: sarò ben felice di farlo.


L'intervento ha rappresentato un'importante occasione di attivazione e lavoro congiunto di diversi gruppi/unità di psicologia dell'emergenza. 20 Psicologi pugliesi e 25 siciliani, appartenenti a specifici gruppi organizzati per la gestione delle emergenze, si sono attivati già dalle prime ore del disastro, per continuare ininterrottamente la loro assistenza nei giorni successivi. La modalità di lavoro basata sui classici principi di outreaching/roaming ha fortemente caratterizzato l'intervento: gli psicologi si sono recati direttamente sul posto dell'evento ed hanno seguito vittime/parenti nelle varie sedi in cui si è articolato lo scenario operativo dell'emergenza (aeroporti, ospedali, obitori, chiese, etc.). I tempi di attivazione sono stati molto rapidi (meno di un paio d'ore), la continuità dell'intervento significativa (diversi giorni), la flessibilità operativa anche (gli psicologi pugliesi sono partiti con poche ore di preavviso con l'aereo che da Bari ha portato i parenti a Palermo; lì sono rimasti operativi per ulteriori 48 ore, coordinandosi con i colleghi siciliani).

Tra i principali problemi che sembra sia stato necessario affrontare, c'e' stata la forte necessità di coordinamento tra gruppi diversi: mentre i colleghi siciliani stavano seguendo i sopravvissuti, i colleghi pugliesi imbarcati sull'aereo seguivano i loro parenti; questo potrebbe diventare lo spunto per riflettere sulle migliori modalità di coordinamento tra gruppi territoriali diversi, che
spesso non hanno rapporti strutturali tra loro, in occasioni del genere. Ciò anche per ridurre il rischio di "moltiplicazione e sovrapposizione degli psicologi" in seguito al ricongiungimento delle famiglie (avendo così famiglie seguite
contemporaneamente dallo psicologo dell'emergenza "locale", dallo psicologo
dell'emergenza "arrivato a seguito dei parenti", e dallo psicologo strutturato dell'ospedale, ciascuno dei quali opera in autonomia con strumenti diversi). Questo è un problema già segnalato dalla letteratura anglosassone (si pensi a quanto segnalato da William Yule in seguito alla tragedia dell'Herald of Free Enterprise, quando sul luogo accorsero - disordinatamente - molti più psicologi che vittime, alcuni dei quali iniziarono a "contendersi" le vittime...), e l'unica soluzione possibile sembra essere lo sviluppo di protocolli comuni di intervento, e la costituzione di rapporti più frequenti e strutturati tra i vari gruppi di psicologi dell'emergenza operanti sul territorio.

(Attenzione ! La situazione dell'Herald of Free Enterprise non è nemmeno lontanamente analoga a quanto successo a Palermo, dove anzi i diversi gruppi sembrano aver lavorato abbastanza bene insieme: questo vuole essere solo uno spunto di riflessione relativo ad eventuali situazioni, analoghe ma molto meno strutturate, che si potrebbero venire a creare in futuro).


Un'altra problematica interessante è appunto quella logistica: gli psicologi pugliesi, sempre da quello che si riesce a capire dai giornali, sono stati allertati e sono arrivati in aereoporto, per poi partire nel giro di poche ore alla volta di Palermo (dove sono rimasti fino al rientro delle famiglie a Bari, due giorni dopo). L'utilità di avere sempre pronto il celebre "zaino dello psicologo", con un paio di ricambi di abito e qualche accessorio, appare significativa in un caso del genere (per poter avere almeno un paio di giorni di autonomia). Si ricorda del resto che secondo le procedure di Protezione Civile ogni soccorritore deve essere assolutamente autonomo per almeno le prime 12/24 ore, anche per quanto riguarda l'alimentazione...

Una nota finale è relativa all'operatività degli psicologi in situazioni di lutto diffuso, ed alla percezione che si può avere del nostro ruolo: si leggeva sui giornali che in un paio di momenti sembra esserci stata una certa tensione tra parenti delle vittime ed alcuni psicologi, percepiti a tratti come un pò invasivi: "non abbiamo bisogno di essere psicoanalizzati, ma solo che ci lasciate un pò in pace con il nostro dolore", sembrano aver detto dei parenti ad un paio di colleghi, forse calatisi un pò troppo nella parte di "premurosi soccorritori".

Non so cosa sia successo esattamente nel caso specifico, ma, più in generale, lo psicologo in emergenza deve sempre ricordarsi che è solo un sostegno temporaneo ed un piccolo "catalizzatore" dei normali processi di recovery psicologica dei suoi assistiti, e "fare troppo lo psicologo" serve solo al suo narcisismo, ed a bloccare le persone che hanno subito il dramma ad una pericolosa attribuzione di impotenza e passività...

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