07 luglio 2005

Londra

Ed ecco che dopo gli attentati di Madrid del 2004, con metodologia apparentemente molto simile sono stati condotti gli attentati di Londra 2005, in corrispondenza del G8:

link su Repubblica Online


Delle conseguenze psicologiche individuali degli attentati terroristici è stato scritto tanto; ampie sintesi si possono trovare sul sito del National Center for Post-Traumatic Stress Disorder o sulle ampie Trauma Pages di David Baldwin.
Ma quello che veramente colpisce in eventi di questo tipo sono le conseguenze psicosociali a medio termine: il senso di insicurezza, la confusione, le ferite al senso di sicurezza comunitario.

Janoff-Bulman, parlando della "crisi" delle sicurezze assiomatiche che ogni uomo si trova a provare davanti alle situazioni traumatiche (gli assunti di base secondo cui "il mondo è sicuro", "nessuno mi vuole fare del male", "il mondo è prevedibile", etc.), forse si è focalizzato troppo sulla dimensione individuale; queste certezze, davanti a certi eventi, vengono meno anche a livello collettivo, e l'obbiettivo psicologico degli attacchi terroristici è proprio questo: l'insensatezza individuale dell'evento (per chi ne è vittima) come fondamento di un disorientamento collettivo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ciao luca, avrei una piccola proposta, o quasi.
mi piacerebbe attivare una conversazione attorno a due termini che mi sembrano importanti in ambito di psi dell'emergenza ed anche in ambito di interventi umanitari.
Vittime e/o sopravvissuti.
quando è corretto usare il primo e quando il secondo?
Se si leggono le etimologie si trova che Vittima deriva dal latino per cui:
Victima: vitto, cibo offerto agli dei
Vincire: legare, legato al sacrificio
Victoria: si immolavano ai numi in ringraziamento per la vittoria.
in generale è vittima un gruppo o individuo che senza aver violato regole convenute viene sottoposto ad angherie o sofferenze, spesso per effetto del meccanismo del capro espiatorio (Galimberti)

Sopravvissuto: non ho trovato etimologia diretta ma da sopravvivere, ovvero da vivere più lungamente. chi si è salvato, superstite.

a volte mi sembra che la concezione di vittima comporti una sorta di visione "passiva" dell'altro mentre sopravvissuto comporti una visione "attiva". ora è solo un modo di vedere ma il punto centrale è in quale ottica e quindi con quali forme di relazione/intervento procedere.
ovvio che per ora la metto come una questione aperta di cui non ho da proporre soluzioni
luca