08 aprile 2005

La formazione minima per lo Psicologo dell'Emergenza

Recentemente, si è avuto modo di parlare con alcuni amici dei criteri di formazione per gli psicologi dell'emergenza.

Ovvero, quali sono i "criteri minimi" per fare di uno psicologo "generico" uno psicologo dell'emergenza ?
Ci sono varie risposte possibili a questa domanda; risposte che ovviamente riflettono diversi modi di concepire il ruolo professionale, o la serietà dei proponenti. Molti proponenti di corsetti sulla "psicologia dell'emergenza" hanno un forte interesse economico a far credere che per diventare psicologi dell'emergenza qualificati sia sostanzialmente sufficiente un corsetto di venti o trenta ore, in cui si spiegano (acriticamente e meccanicamente) i concetti fondamentali della traumatologia psichica. Senza entrare in ulteriori meriti di giudizio rispetto a certi "psicoavventurieri", stimolato dagli amici di cui sopra, ecco quella che a mio parere può essere una formazione di base più adeguata a questo ruolo.

- Laurea in Psicologia

- Abilitazione Professionale

- Corso di base di Protezione Civile

- Corso BLS (primo soccorso)

- Un corso SERIO di psicologia dell'emergenza (che NON è solo "psicotraumatologia", anzi !).

Con corso "serio" intendo un corso in cui si possa ricevere una formazione a 360° su tutti i principali temi formativi dell'emergenza, con docenti sia psicologi che non psicologi (esperti di protezione civile, cooperazione, sicurezza, etc.), di alcune centinaia di ore di durata minima. E possibilmente, con una didattica non solo basata su lezioni frontali, ma anche con molte esercitazioni, case-studies, role-playing, etc. La realtà dell'emergenza è sempre molto più complessa di quella presentata dai modellini teorici...

- Un tirocinio /stage di alcune centinaia di ore in situazioni e contesti legati all'emergenza, il rischio o la sicurezza, con una parte di tipo clinico ed una non-clinica (il lavoro dello psicologo in emergenza è spesso di tipo clinico... ma non solo).

- La buona conoscenza di almeno una lingua straniera, come l'inglese o il francese

- Una buona analisi (o percorso terapeutico) personale.

Punto discutibile per alcuni, ma di fatto lavorare in emergenza significa tre cose: "accettare di essere inondati da racconti dell'orrore" (Jones, 1998); doversi confrontare continuamente con i limiti propri e degli altri; dover dare significato ad eventi che non sembrano averlo.
Ed allora, meglio avvicinarsi a questo materiale emotivamente assai impegnativo a partire da un percorso personale che ci abbia permesso di affrontare ed elaborare almeno i nostri nodi problematici principali, e ci abbia permesso di capire un pò meglio come "siamo fatti" e perchè vogliamo lavorare proprio in emergenza.

- La disponibilità ad una supervisione continua.

Lavorare in emergenza significa doversi sforzare di "rimanere sani in una situazione folle" (Moram 1997), ma questo può lasciare segni pesanti anche ad un clinico esperto. Andare in supervisione regolarmente, dopo gli interventi, è una misura essenziale di autoprotezione e di elaborazione dei significati e dei vissuti legati a quanto ci è successo.

Il tutto accompagnato da un minimo di forma fisica che ci metta in grado di adattarci a situazioni impegnative, da un poco di esperienza di viaggi e movimento in contesti disagiati, ed ovviamente... una forte e chiara motivazione per questo tipo di lavoro.
La prima domanda a cui si deve SEMPRE saper rispondere prima di intervenire in tali contesti è sempre: ma perchè voglio fare proprio lo psicologo dell'emergenza ?

L'elenco è lungo, manca qualcosa ? :-)

E' vero, è tanto. Ma il lavoro dello psicologo dell'emergenza è complesso e delicato, e si svolge, per definizione, in contesti non facili; contesti in cui l'adattabilità, il focus sulle proprie risorse interne ed un buon equilibrio personale sono le condizioni irrinunciabili per poter lavorare efficacemente e senza farsi "troppo male" da soli.

5 commenti:

Luca Pezzullo ha detto...

Cara Cri, ti ringrazio dei complimenti; la figura professionale dello psicologo dell'emergenza è abbastanza complessa e variegata. Alcuni colleghi lavorano nell'ambito "pubblico": vi sono allo stato attuale alcune decine di psicologi che sono inquadrati nella pubblica amministrazione con compiti di psicologia dell'emergenza e/o psicotraumatologia (come gli psicologi dell'Esercito o delle Forze dell'Ordine; in quest'ambito, i colleghi svolgono comunque anche un ruolo di tipo selezione/formazione ed intervento clinico "ordinario"); altri sono strutturati ASL che svolgono il loro normale lavoro ma che possono essere chiamati in reperibilità in situazioni di maxiemergenza; altri ancora operano come volontari, o liberi professionisti convenzionati (più raramente come dipendenti) nelle organizzazioni di soccorso (CRI, Protezione Civile). Un piccolo gruppetto opera nelle Università o nelle Organizzazioni del Terzo Settore (Cooperazione Internazionale e simili). La comunità professionale degli psicologi dell'emergenza in Italia è però ancora molto piccola, e solo da poco si sono aperti spiragli di posizionamento professionale nei vari ambiti organizzativi. In altre parole: al giorno d'oggi è molto difficile riuscire a "vivere" solo facendo psicologia dell'emergenza.

Un saluto cordiale,
Luca

Anonimo ha detto...

Ciao Luca, se non sbaglio hai scritto anche alcuni libri sulla psicologia dell'emergenza, il tuo è un nome che ho rivisto spesso mentre cercavo informazioni su questo argomento. Ho scoperto per caso questo blog (ed è anche la prima volta che scrivo dentro ad un blog, speriamo vada bene!!), mi piace l'informalità che se ne respira, pertanto provo a partecipare! Sono una giovane laureata in psicologia e trovo grande interesse per questo ambito dell'emergenza, quasi un'attrazione direi..ma come giustamente dici, fondamentale è la domanda "perchè voglio fare proprio la psicologa dell'emergenza?", con cui anch'io da tempo mi sto confrontando e che per forza di cose viene da chiedersi visto che è come voler entrare in un giro di schiaffi di propria volontà!! Non che il lavoro dello psicologo in sè sia tanto più tranquillo, ma forse meno esposto a veri e propri orrori... Intuivo che il percorso fosse lungo, (non avevo pensato al corso di base di pronto soccorso)e ho cominciato a percorrerlo, almeno per quanto riguarda la psicoterapia personale, punto di partenza per trovare forse delle risposte e dare concretezza ad un progetto di vita, se davvero esiste, o scoprire che si trattava solo di un bellissimo ideale...
Grazie delle informazioni che fornisci su questo argomento.
Denise

Luca Pezzullo ha detto...

Cara Denise,

partecipazione riuscita, contributo arrivato ! :-)

Effettivamente il settore è un pò "difficile", sia da un punto di vista professionale che emotivo: richiede comunque di confrontarsi con una serie di situazioni e vissuti che, per definizione, sono particolarmente intensi e difficili.

Un percorso di conoscenza ed elaborazione personale, da questo punto di vista, è secondo me propedeutico al lavoro in questo contesto, anche per potersi chiedere "prima" il perchè di tale, specifico, interesse professionale...

Il settore dell'emergenza, che è molto stimolante, ora come non mai richiede persone in grado di unire tensione ideale (perchè ne serve sempre), seria concretezza operativa e rigore concettuale. Pertanto... benvenuta a bordo !

Ciao,
Luca

Anonimo ha detto...

Ciao Luca! sono Daniela, mi sto per laureare in psicologia a Parma. volevo chiederti se in qualche modo esiste la possibilità di fare il tirocinio post lauream nell'ambito della Psicologia dell'emergenza. A chi mi devo rivolgere?alla Protezione Civile? Sai se a Parma o a Genova c'è qualche possibilità? GRAZIE per la disponibilità!

Unknown ha detto...

Ciao,
volevo chiederti: è possibile lavorare come psicologo dell'emergenza all'interno delle Forze Armate? Non come esterno che li supporta, ma proprio come membro. C'è questa possibilità?