26 aprile 2010

Alcune indicazioni "per iniziare": Prima parte

Tra le domande via mail che mi arrivano più di frequente da parte dei colleghi che si avvicinano per la prima volta a questo settore, vi è quella sul... "come iniziare/cosa leggere/come formarsi" in psicologia dell'emergenza.

Siccome mi trovo a rispondere spesso alla stessa domanda, ecco qui un sunto "una volta per tutte", diviso in tre parti ! :-)

In questa prima parte, alcune questioni preliminari e concettuali del settore, che è importante conoscere per avvicinarlo in maniera corretta; nella seconda parte, che sarà postata nei prossimi giorni, una lunga serie di indicazioni bibliografiche ragionate, sui diversi ambiti della psicologia dell'emergenza e della psicotraumatologia; nella terza parte - in preparazione - una serie di consigli operativi sui diversi contesti operativi ed associativi di settore.

PRIMA PARTE

1. Non confondete la psicotraumatologia con la psicologia dell'emergenza.

La psicologia dell'emergenza è qualcosa di più "vasto" e molto diverso rispetto alla psicotraumatologia, e troppo spesso si fa una certa confusione in merito (purtroppo, a volte anche tra gli addetti ai lavori). Questo non significa certo che uno dei due settori sia "migliore o più importante dell'altro"; ma è necessario comprendere bene le diverse aree teorico-metodologiche cui fanno riferimento.

La psicologia dell'emergenza infatti non è solo "psicologia clinica", ma è anche (e spesso soprattutto) psicologia sociale, psicologia dei gruppi, psicologia della comunicazione, psicologia delle organizzazioni, psicologia di comunità - tutte applicate, trasversalmente e integrativamente, all'ambito delle "situazioni di crisi".

Dunque, si tratta di un ambito complesso e variegato, "orizzontale" rispetto ai diversi ambiti, teorie e linee di lavoro psicologiche, e assolutamente non riducibile alla sola "clinica del post-emergenza", che ne è solo una piccola parte (per quanto significativa).

La psicotraumatologia, invece, è una declinazione specifica della psicoterapia nell'ambito dei traumi psichici. Dunque, un tema molto più specifico, e clinicamente orientato. Solitamente, inoltre, la psicotraumatologia si applica nel caso di disturbi clinicamente significativi (che solitamente sono più rari di quanto si pensa, anche in contesti di emergenza), a distanza di settimane o mesi dagli eventi critici, ed in setting individuali.

Ovviamente vi sono diversi punti di contatto e di "continuità operativa" tra intervento psicologico-emergenziale e intervento psicotraumatologico, ma bisogna evitare di confonderli indebitamente, proprio per massima chiarezza operativa, scientifica e professionale.

Mentre sicuramente non tutte le persone coinvolte da un evento critico necessiteranno infatti di un supporto specialistico psicoterapeutico-psicotraumatologico (anzi, dai dati statistici internazionali solo una piccola minoranza ne necessita clinicamente), forme di sostegno psicologico-emergenziale, e gli interventi "organizzativi" derivati dalla psicologia dell'emergenza, possono essere dirette a gran parte delle persone coinvolte da un evento critico - a livello individuale, gruppale e comunitario.

In altri termini: la sofferenza emotiva, avanti a situazioni critiche, è frequente e normale - e ce ne se ne può e deve prendere cura; ma questo non implica che la sofferenza sia o diventerà automaticamente una "malattia": la pur acuta sofferenza personale in situazioni di emergenza, diventa infatti una psicopatologia strutturata solo in rari casi (meno del 10% in media, secondo le rilevazioni epidemiologiche del NCPTSD, il più importante centro internazionale di ricerca in merito), nel qual caso può allora essere utile ed importante un intervento psicoterapeutico-psicotraumatologico.

2. Non basta saperne di psicologia, per essere bravi psicologi dell'emergenza.

Sembra ovvio, ma va sottolineato espressamente.
Essere psicologi competenti e preparati è ovviamente la base necessaria, ma non è sufficiente per essere un bravo psicologo dell'emergenza. Sono infatti anche altre le competenze professionali ed extraprofessionali che sono fondamentali per poter operare in maniera efficace e sicura in questo specifico contesto, così delicato, trasversale e complesso. Sul campo, contano molto anche competenze operative non ascrivibili alla sola psicologia dell'emergenza, o anche solo alla psicologia in generale.

Essere in grado di orientarsi nel sistema dei soccorsi; conoscere le sigle, le logiche, i linguaggi e le procedure di base di Protezione Civile e soccorso sanitario; sapersi interfacciare correttamente con le istituzioni, associazioni ed Enti preposti alla gestione dei soccorsi; conoscere e saper mettere in atto le regole di sicurezza operativa sul campo, o l'uso di DPI, etc., sono tutte conoscenze e competenze essenziali per lo psicologo dell'emergenza, che si trova ad operare, per definizione, in un contesto fisico e relazionale profondamente diverso da quello cui magari si è abituato nella sua pratica professionale "ordinaria". E la buona volontà non è in questo caso sufficiente: è necessaria una preparazione specifica, che parte anche da basi formative ed esperienziali non solo psicologiche.

Ad esempio, seguire integralmente un buon corso-base per volontari di Protezione Civile e/o soccorritore sanitario (con brevetto BLS/D), fornisce allo psicologo quella base "operativa" e di conoscenze/esperienze dirette del sistema di soccorso/emergenza che gli permetteranno poi di operare in maniera molto più orientata, consapevole ed efficace quando in emergenza si troverà sul serio. Se si vuole fornire una prestazione professionale rigorosa e di alto livello in questi contesti speciali, è questa una tappa formativa fondamentale.

Dunque, queste competenze e questa "identità" di soccorritore" -prima ancora che di psicologo - sono non solo utili, ma forse anche un vero e proprio pre-requisito fondamentale per poter poi andare a fare lo psicologo dell'emergenza, e saper interoperare efficacemente con tutti gli altri "attori funzionali" del sistema del soccorso.

3. In che aree psicologiche formarsi ?

Per fare gli psicologi dell'emergenza, non basta assolutamente saperne solo di "psicologia", o di "psicologia clinica", o essere psicoterapeuti.
Un vecchio e sbagliato luogo comune voleva che un bravo psicologo potesse essere ipso facto anche un bravo psicologo dell'emergenza, magari dopo essersi solo letto qualche libro, o seguito un breve seminario, in merito. Errore da matita blu !

Esattamente come il nostro tranquillo medico di famiglia non diventa automaticamente un superesperto da E.R. dopo aver seguito un breve seminario di pronto soccorso, uno psicologo (o psicoterapeuta) pur bravo difficilmente può trasformarsi in un grande esperto di emergenze dal giorno alla notte. Questo, pur essendo magari un ottimo psicologo, o un ottimo psicoterapeuta (anche migliore, in contesti non-emergenziali, di quanto sarebbe magari uno psicologo dell'emergenza).

Essere un buon psicologo, ed eventualmente un buon psicologo clinico e/o psicoterapeuta, è però ovviamente una base essenziale per essere poi un buon psicologo dell'emergenza. Insomma, la buona competenza di base è una condizione necessaria, ma da sola insufficiente.

Del resto, per fare poi buona psicologia dell'emergenza, non basta affatto saperne solo di psicologia dell'emergenza. Bisogna saperne (e bene) di psicologia generale, di psicologia sociale, di psicologia dello sviluppo, di psicologia clinica. E bisogna quindi approfondire, specificatamente, aree professionali di settore, quali: l'organizzazione dei servizi di emergenza, la psicologia della crisi emotiva, la psicologia del rischio, la psicologia della comunicazione di massa, le dinamiche organizzative in emergenza, la psicologia culturale, la clinica dei traumi, la psicologia delle comunità in situazioni di crisi, la gestione del lutto. Temi numerosi e complessi, ma non di meno essenziali nella gestione integrata ed efficace dei diversi aspetti dello scenario emergenziale.

Insomma, si necessita di una serie di competenze su tre livelli: in primis, competenze extrapsicologiche, sul sistema dei soccorsi e l'organizzazione delle emergenze. Poi, competenze psicologiche "di base", con una forte expertise trasversalmente ai diversi settori clinici e sociali "classici" della psicologia. Quindi, una serie di competenze molto specifiche ed applicative, sui versanti peculiari della psicologia dell'emergenza e degli eventi acuti.

Una formazione lunga, come si vede; non a caso, i corsi formativi di settore più seri e strutturati durano solitamente almeno un anno o due, per poter veicolare adeguatamente le principali competenze di merito. E sono assolutamente necessarie, nel tempo, anche numerose esercitazioni ed esperienze pratiche supervisionate, per poter tradurre in pratica l'apprendimento teorico (ed in questo settore, il contatto diretto con la complessità ed imprevedibilità dell'ambiente operativo è essenziale, forse ancor più che in altri campi).

Segue a breve la "seconda parte": bibliografie tematiche ragionate per avvicinarsi al settore.


Saluti a tutti,
Luca Pezzullo

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