15 novembre 2009

Assetti epidemiologici nel personale militare Statunitense impegnato in teatro operativo

E' appena uscito, sul Washington Post, un interessante articolo sugli aspetti epidemiologici di stress e trauma relativo al personale militare statunitense impiegato in Iraq e Afghanistan.

Come noto, da molti anni il sistema militare Statunitense ha sviluppato ed implementato una serie di misure di prevenzione e gestione dello stress traumatico cui spesso sono sottoposti i militari impegnati in teatro operativo.
Il modello originale, sviluppato a partire dalla prima metà degli anni '90, si è ulteriormente articolato durante i primi anni di guerra in Iraq ed Afghanistan, ed ha prodotto quello che è universalmente riconosciuto come un notevole miglioramento dei protocolli operativi di merito, ben rappresentati da quel "reference text" che è la Iraqi War Clinician Guide, giunta alla sua seconda edizione, e rilasciata pubblicamente dal NCPTSD (recentemente citato in questo blog).

Nonostante tali sforzi organizzativi e clini, emergono tuttora frequenti situazioni preoccupanti da un punto di vista epidemiologico, visto l'elevato numero di eventi post-traumatici riportati in letteratura, a volte con esito critico (atti di violenza, suicidi, divorzi, gravi difficoltà psicopatologiche, etc.).

Il Washington Post ha appunto riportato un'analisi dell'U.S. Army, secondo cui il tasso di difficoltà psicologiche tra i militari operanti in Afghanistan (molti dei quali al terzo o quarto periodo di servizio sul campo) ammonterebbero a più del 20% del totale dei soldati impiegati; un rateo maggiore anche dei tassi di problematiche psicologiche rilevate nei loro colleghi impegnati sullo scenario Iracheno. Tali tassi sembrano anche essere associati ad una riduzione del morale delle truppe.

I vertici dell'U.S. Army, che al momento della "survey" aveva in teatro operativo 43 ufficiali psicologi, hanno quindi deciso di svolgere una serie di interventi di miglioramento del supporto psicologico e psichiatrico: svolgere regolarmente i relativi monitoraggi; portare ad oltre 100 gli specialisti di salute mentale presenti sul campo (con particolare riferimento alle unità "Combat", ovvero quelle direttamente coinvolti nei confronti armati); enfatizzare e rinforzare i programmi di formazione per la prevenzione delle condotte suicidarie; facilitare l'accesso a modalità di coping (dalla possibilità di uso di internet - utile anche per rimanere in contatto con le proprie famiglie lontane), alle opportunità di regolare attività fisica anche per i reparti logistici o di supporto.

Qui l'articolo originale.

Luca Pezzullo

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