14 settembre 2018
Pillole di ENPAP
[Pillole di ENPAP - 1]
Spesso, quando si dice la parola "ENPAP", la reazione del collega medio (e del futuro collega ancora di più!) è un misto di noia e di repulsione... ma è un errore grave, perchè in realtà avere alcune informazioni di base su cosa è e come funziona davvero ci permette di essere molto più "smart" e autonomi nel pensare al nostro futuro, e a come tutelare il frutto economico del nostro lavoro!!
Per cui: niente panico, ci sono anche cose inaspettate, curiose e molto utili da sapere in merito...
E per i tirocinanti/laureandi: è proprio ADESSO il momento di impararne qualcosa, perchè all'Università non vi hanno spiegato molto, ma fra poco vi sarete iscritti ! :-)
Iniziamo quindi con alcune informazioni generali, molto "basic":
1) Che cosa è l'ENPAP ?
L'Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza degli Psicologi italiani è l'Ente che, quando saremo vecchi, ci pagherà le pensioni (Previdenza), e se abbiamo bisogno di aiuto per particolari situazioni nel corso della vita, ci può erogare forme di sostegno economico (Assistenza). In altre parole, è l'equivalente per gli psicologi dell'INPS.
2) Mi ci devo iscrivere per forza ?
Eccerto che sì, se lavori come psicologo! La previdenza è obbligatoria per tutti i cittadini: dagli psicologi ai panettieri, dagli operai agli architetti; i professionisti in particolare si devono iscrivere alla loro Cassa di appartenenza (ENPAP per gli Psicologi, ENPAM per i Medici, Inarcassa per gli ingegneri, e così via). Altrimenti, rimarresti (teoricamente) senza pensione, e senza assistenza... vi è quindi un preciso obbligo di legge ad iscriversi, ma è anche tuo interesse personale farlo appena possibile !
Lo so: magari da giovanissimo uno pensa che non siano cose importanti, ma in realtà è proprio ad inizio carriera che bisogna iniziare a pianificare un futuro che - se programmato bene fin dall'inizio - può essere meno "nero" di quanto si teme...
3) Chi si deve iscrivere ? Quando ? Come ?
Sul sito www.enpap.it trovi tutte le informazioni ! In particolare, ti devi iscrivere entro 90 giorni dalla ricezione del tuo primo compenso professionale in qualità di psicologo. Basta scaricare i moduli che trovi sul sito, e seguire le indicazioni relative: è davvero una cosa semplice.
4) Ma versare all'ENPAP è come pagare delle tasse?
NO ! Mito assolutamente da sfatare. I soldi che versi all'ENPAP (il "contributo soggettivo", il 10% del tuo reddito professionale) vanno direttamente in una tua "cassaforte personale", con il tuo nome "scritto sopra" (si chiama "montante individuale", perchè cresce - cioè "monta" - nel corso degli anni), e rimangono sempre e solo "tuoi": non servono per pagare le pensioni di "anziani sconosciuti" (come avviene all'INPS), ma sono tuoi e soltanto tuoi, e tali rimarranno fino al momento della tua pensione ! A quel punto, incrementati da un coefficiente previsto dalle normative, diventeranno la tua pensione, che ti verrà erogata regolarmente per il resto della tua vita.
Inoltre, il 2% di ogni fattura (il "contributo integrativo"), serve per pagarti (oltre al funzionamento dell'Ente) tutte le forme di assistenza, attuali e future: indennità di malattia, spese per situazioni straordinarie, microcredito, spese funerarie, sostegno per le calamità naturali, etc.; un fondo a parte (Contributo Maternità, previsto per legge) copre anche la maternità delle colleghe.
5) Ma è vero che i soldi che dò all'ENPAP sono uno sproposito?
Molti lo dicono, ma se andiamo a verificare... assolutamente NO (anzi), e per diversi motivi: in primo luogo sono "soldi tuoi", che rimangono sempre e solo a te: non sono tasse che vanno in un buco nero! E' come metterli in un salvadanaio a lungo termine...
In secondo luogo, sono sempre proporzionati al tuo reddito effettivo (il 10%+2%), tranne dei contributi minimi per redditi molto bassi.
In terzo luogo, per i colleghi più giovani e a basso reddito sono previste riduzioni molto significative anche dei contributi minimi, proprio per permettere un "avvio soft" della professione.
In quarto luogo, la nostra è la contribuzione *più bassa* in assoluto tra quella di tutte le Casse professionali; ed è pure - per dare un'idea - molto inferiore a quello che pagheremmo stando all'INPS nella Gestione Separata (ormai diretta oltre il 30%, quasi il triplo di noi!).
Domande in sospeso, nei prossimi post: "è vero che però avremo delle pensioni basse ?" Perchè? E cosa significa "metodo contributivo" e "metodo retributivo"? (suggerimento di risposta: l'entità delle pensioni dipende... e il meccanismo lo spiego a breve !) Ed un altro post: "ma che vantaggi ci dà essere iscritti all'ENPAP?" (suggerimento: moltissimi, se li sai ;-D)
6) "Metodo contributivo, retributivo, pensioni basse... non ci capisco un accidente!!"
Lo so, sembra un casino... ma è solo apparente: abbiamo superato esami di Dinamica e Psicobiologia con libri molto più complicati :-) In realtà, è banalissimo. Non ci credete ?
Leggete per 30 secondi, e (semplificando un po') vedrete che sarà chiarissimo !
A. I soldi della mia pensione, da qualche parte devono pur arrivare...
B. Ci sono solo due strade: o me la paga qualcun'altro, o me la pago io!
C. In passato (i nostri genitori) la pensione era pagata dalla collettività, calcolandola sulla base del tuo ultimo stipendio (in pratica, la pagavano in gran parte le generazioni nuove a quelle precedenti). D. Si chiamava "Metodo Retributivo", perchè era appunto basato sulla tua ultima retribuzione; garantiva pensioni di tutto rispetto, molto simili al tuo ultimo stipendio da lavoratore.
E. Il problema è che il Metodo Retributivo va benissimo per il singolo (che pigliava una buona pensione), ma non per la collettività: mantenere per decenni milioni di persone quasi con lo stipendio che avevano da lavoratori è infatti insostenibile per le casse dello Stato (purtroppo).
F. Quindi, si è dovuti passare da vent'anni a questa parte al "Metodo Contributivo": adesso, le nuove generazioni (qualunque lavoro facciano) la loro pensione "se la devono pagare da soli"!
G. Ciascuno di noi, infatti, deve versare un pochino dei propri soldi ogni anno in un "salvadanaio personale" (all'INPS, o in una Cassa professionale; i salvadanai degli psicologi sono appunto presso l'ENPAP), che poi "verrà aperto" quando andremo in pensione. I soldi che ci abbiamo messo dentro, rivalutati, ci verranno restituiti "spalmati" in piccole rate mensili, sotto forma di pensione, per tutto il resto della nostra vita. Fine, non c'è da sapere (quasi) altro: avete appena capito il meccanismo!! :-)
7) "Si, ma perchè le nostre pensioni saranno basse?" Ecco, questo è il problema: NON dipende dall'ENPAP, NON dipende dalla Psicologia, dipende proprio dal Metodo Contributivo - che vale per tutti i cittadini italiani! Ed è un problema che quindi avranno tutte le ultime generazioni: che tu sia psicologo o fornaio, operaio o ingegnere, avvocato o impiegato! Per una volta, non ci possiamo lamentare "noi poveri psicologi": siamo davvero tutti quanti nella stessa barca...
Esempio facile: diciamo che guadagno 20.000 euro all'anno. Il 10% lo metto nel "salvadanaio" della pensione (2.000 euro). Ora, immaginiamo di lavorare per 40 anni (semplifico in maniera estrema, in realtà è più complicato ma adesso vediamo questo!) Ogni anno avrò quindi messo via 2.000 euro, ed alla fine della mia carriera avrò nel salvadanaio circa 80.000 euro (2.000 * 40), che da quel punto in poi mi saranno restituiti regolarmente, ogni mese, come pensione.
Ecco, questo è il punto !
Se da quando vado in pensione vivo circa 20 anni ancora, vuol dire che dovrò farmi bastare gli 80.000 euro messi da parte per almeno altri 20 anni... il che significa 4.000 euro all'anno (cioè 350 euro circa di pensione al mese: 4.000/12). Si, avete letto bene: 350 euro di pensione al mese. STOP: prima di andare in panico, leggete il prossimo post (Pillole di ENPAP - 4), in cui spiego un paio di punti fondamentali per non sbattere la testa contro il muro, e per capire come aumentare le nostre pensioni future!
"Più verso, e prima lo verso, e avrò una pensione più alta", questa è la regola da imparare a memoria... vediamo adesso come ;-)
8) "Prenderò poco di pensione? Come posso aumentarla?" Beh, in un certo senso sì: il metodo contributivo porta inevitabilmente a pensioni più basse del metodo retributivo, non si scappa. Ma vi sono dei correttivi :-) E se ce la giochiamo bene, avremo una pensione più alta di quanto temiamo!
Lo schema del post precedente era molto semplificato, e mancano un paio di passaggi importanti: l'ENPAP infatti investe il suo patrimonio (come fanno tutti gli Enti di Previdenza), e quanto tu depositi quindi si rivaluta nel tempo.
I meccanismi di "interesse composto" sono quelli che possono fare la differenza, e che spiegano perchè *è fondamentale* versare il più possibile ed il prima possibile (in modo da far "lievitare" l'interesse per più anni possibile), se vogliamo avere una pensione migliore.
Faccio un esempio semplicissimo:
Ipotizziamo di versare 1000 euro oggi, che verranno rivalutati al 3% annuo. Sapete quanto diventano (circa) dopo 20 anni (iscrizione tardiva all'ENPAP) ? 1806 euro.
Se li faccio maturare 30 anni? Diventano 2427 euro.
Se li faccio maturare 40 anni (cioè mi iscrivo giovanissimo, appena posso)? Diventano ben 3262! Una bella differenza: praticamente il doppio.
La stessa cifra di 1000 euro, se mi iscrivo e la verso subito, mi rende quindi *IL DOPPIO* di quanto mi renderebbe se mi iscrivo e la verso "tardi", perchè aspetto troppo!
Ipotizziamo adesso di versare di più, facendo uno sforzo (si può indicare quanto si vuole versare, grazie ad un'innovazione introdotta da AltraPsicologia, che rende più flessibile e personalizzabile il meccanismo, tra il 10 e il 20%, scegliendo ogni singolo anno): quanto renderebbero 2000 euro, invece che 1000? In 20 anni, mi diventano 3612 euro. In 30 anni, mi diventano 4854 euro. In 40 anni, diventano addirittura 6.524 euro ! Insomma: se ti iscrivi subito (40 anni invece che 20), e versi un pò di più (2000 invece che 1000), alla fine ti ritrovi con 6.500 euro invece che con 1.800! Dunque, i 1.000 euro in più che metti adesso ti ritorneranno incrementati di molte volte. Fate la proporzione per tutti i vostri contributi, e.... ecco, ci siamo capiti! :-)
Questo ci fa capire:
1. le nostre pensioni possono essere più alte di quanto temiamo, ma SOLO se sappiamo come funziona il meccanismo di rivalutazione!
2. "Più versi e prima lo versi, e più il tuo rendimento salta su; così avrai una pensione (molto) più serena".
In sintesi: piccolissime differenze nelle scelte di oggi fanno *enormi differenze* per la nostra vita fra qualche anno, molto più di quanto si immagini quando si inizia la professione!
[Assistenza]
Riprendiamo con alcune info importanti sull'Assistenza: ovvero, come l'ENPAP e altri mi aiutano quando sono nei guai!] ENPAP - EMAPI - CAMPI sono tre istituzioni che hanno il compito di "proteggere lo psicologo". Gli Psicologi sono in gran parte liberi-professionisti (e sempre più lo saranno); quindi, hanno pochissime tutele "pubbliche" in caso di difficoltà. Negli anni, ci siamo quindi muniti di alcuni "strumenti" molto utili a "proteggerci" in caso di guai; purtroppo, molti non le conoscono neanche, e quindi perdono l'opportunità di chiederle!
Vediamole rapidamente, partendo qui dal'ENPAP... possono davvero servire a tutti, prima o poi :-)
1. "Assistenza ENPAP": come proteggersi da malattia e... sfighe varie.
L'ENPAP, per gli iscritti in regola con i versamenti (molti non lo sono, e perdono così stupidamente le protezioni relative!), prevede una vasta serie di servizi di assistenza e sostegno in caso di difficoltà dell'iscritto.
A) Malattia: La più importante è l'indennità di malattia: lo sapevate che se vi ammalate (non per un raffreddore, è chiaro), l'ENPAP vi sostiene economicamente per molte settimane, con un'indennità che vi permette di curarvi senza preoccuparvi del reddito perso in quel periodo? Ogni anno, vengono stanziate molte centinaia di migliaia di euro per sostenere i colleghi in queste situazioni, e sono tra l'altro allo studio ulteriori ampliamenti di questa forma di assistenza, cruciale per i liberi-professionisti senza altre forme di reddito.
B) Sfighe varie: Poi, vi sono le forme di assistenza per "eventi avversi"... lo so, l'elenco che segue non è molto allegro; ma queste cose (e come psicologi lo sappiamo) purtroppo succedono. L'importante è sapere che in quel momento l'ENPAP può darci una piccola "grande" mano, almeno sul piano materiale, e usufruire di queste "protezioni di vita". Vi sono infatti fondi per le "Calamità Naturali" (sapevate che se un disastro naturale - alluvione, terremoto, etc. - danneggia la vostra casa e/o il vostro studio professionale, l'ENPAP vi sostiene economicamente?); per le "Spese Funerarie" (triste, lo so; ma quando succede la comunità professionale si stringe anche così intorno alla famiglia dell'iscritto; come AltraPsicologia ne stiamo allargando anche la copertura ai lutti di primo grado gravi); per gli "Eventi Eccezionali" (situazioni di vita estreme e non altrimenti gestibili, da valutare caso per caso.., per non lasciare da solo l'iscritto davanti a drammi fuori dall'ordinario); "Assegni di studio per figli di iscritti deceduti o inabili" (per garantire le nostre famiglie se dovessimo mancare prima del tempo); "Contributi per la non autosufficienza dei pensionati" (quando è necessaria assistenza specializzata, ad esempio ricoveri in casa di riposo). Insomma, l'ENPAP cerca di dare una "protezione a 360 gradi" rispetto alle diverse esigenze e problemi che possono insorgere, sia al giovane iscritto che al "senior" pensionato. Trovate tutte le informazioni in merito sul sito ENPAP, sezione Assistenza: http://www.enpap.it/?page_id=9
2. "EMAPI": assicurazione sanitaria integrativa. Gli iscritti ENPAP possono inoltre accedere alle coperture dell'Assicurazione Sanitaria Integrativa EMAPI (è un Ente che riunisce tutte le Casse private - psicologi, medici, ingegneri, etc. - per "fare massa numerica", e strappare così condizioni migliori alle Assicurazioni).
Ve ne sono di due tipi: quella "Base" copre i "grandi eventi morbosi" (ovvero, malattie molto gravi o interventi chirurgici "maggiori"), ed è gratuita (!) per tutti gli iscritti ENPAP; quella "Integrativa", ad attivazione volontaria aggiuntiva rispetto alla "Base", prevede un pagamento annuo e garantisce una serie di ulteriori risparmi presso le strutture convenzionate, per una lunghissima serie di prestazioni sanitarie. Maggiori informazioni: www.emapi.it
3. "CAMPI": assicurazione professionale e infortuni. CAMPI è un gioiellino, c'è poco da dire! Sono di parte, la uso da anni con gran soddisfazione: ma per me è sinceramente la migliore assicurazione professionale che si possa trovare in Italia, con condizioni totalmente fuori mercato (tanto che la prima volta pensavo "ma non può essere vero": beh, è vero. E funziona bene!) :-)
La Cassa Assistenza Mutua Psicologi Italiani è stata fondata una ventina di anni fa da vari rappresentanti della categoria, con l'obbiettivo di ottenere condizioni più vantaggiose da assicurazioni private. Fornisce una Assicurazione RC Professionale (ovvero, per i danni che possiamo causare involontariamente ai nostri pazienti; tra l'altro, obbligatoria per Legge dall'anno scorso) ultraconveniente: con circa 40-50 euro annui ci si copre fino a 2 milioni di euro di assicurazione, più 25.000 euro di spese legali e peritali, senza franchigia (che è un vantaggio enorme!).
E' una protezione assolutamente fondamentale, che permette di lavorare molto più serenamente, ad una frazione del costo che la stessa assicurazione avrebbe per un singolo cittadino (provate a chiedere alle vostre banche quanto vi costerebbe una cosa del genere...). Inoltre, sempre a tariffe bassissime, fornisce coperture aggiuntive per Infortuni (H24, quindi anche fuori dal lavoro), per morte, invalidità e diaria ospedaliera, anche qui con garanzie di ottimo livello.
Il piano di copertura è altamente personalizzabile, e potete dargli un'occhiata su www.cassamutuapsicologi.it.
Ma soprattutto, fatela ! Un libero-professionista che si fa male per un incidente, rimane un paio di settimane in ospedale e non lavora (anche solo per pochi mesi), non solo rimane completamente privo di redditi per tutto quel tempo, ma rischia di metterci mesi e mesi a recuperare tutti quei contatti e lavori che intanto sono stati "passati ad altri"!
E' successo davvero poco tempo fa ad un'amica, priva di assicurazione, e ci ha messo quasi un anno a "rientrare nel giro", mandando in fumo un lavoro enorme :-( Se poi si rimane invalidi a seguito di infortunio (succede, purtroppo) e non si riesce più a lavorare bene, uno psicologo senza altre garanzie è nei guai seri; con poche decine di euro all'anno, il CAMPI (che è appunto una "cassa di assistenza mutua" tra colleghi) permette invece di stare al sicuro davanti a tutti questi rischi!
Da alcuni anni, l'ENPAP per la prima volta nella sua storia si sta *avviando ad aumentare le pensioni degli iscritti*. Ovvero, a *mettere soldi* sulle pensioni di tutti quanti, e senza nessun aggravio per noi :-) Dietro queste modifiche vi è stato un *enorme* lavoro legale, attuariale e finanziario, con i consulenti dell'Ente; un percorso lungo e non facile, portato avanti in maniera energica dal CdA.
Ma come si aumentano le pensioni ? In due modi paralleli, ed in contemporanea!
Primo modo: "riversiamo l'extrarendimento sul tuo montante". ....ehi, siete ancora lì... ? No, giuro, non è una cosa brutta! ;-) In pratica, al momento, gli investimenti fatti dall'Ente non possono essere pienamente versati (per un'interpretazione rigidissima delle normative da parte dei Ministeri) sulle nostre pensioni.
Come dire: magari l'Ente, investendo accuratamente i soldi degli iscritti, li valorizza bene; ma, anche in quel caso, gli iscritti non possono ricevere indietro il risultato dell'investimento... assurdo!
Con la modifica del regolamento (dettagli qui: http://www.elezionienpap.it/lenpap-aumenta-le-pensioni/), invece si apre finalmente questa possibilità; in teoria, tutto il rendimento (a parte una quota di riserva, per ovvi motivi prudenziali) potrà essere riversato sulle nostre future pensioni.
Secondo modo: "per gli iscritti con figli, si aumenteranno i contributi figurativi di uno o due anni". Spiegato con l'accetta: avere figli è bellissimo, ma per un libero professionista è anche impegnativo, e toglie energie e molto tempo per l'attività professionale. Dunque, per compensare un minimo queste difficoltà, se hai avuto figli l'Ente ti aumenterà la pensione (chi vuole approfondire come, veda qui: http://www.elezionienpap.it/aumentano-le-pensioni-enpap-pe…/), come se fossi andato in pensione uno o due anni più tardi di quando ci vai in realtà.
La differenza può essere modesta, ma è un modo economicamente concreto con cui l'Ente può riconoscere e sostenere il lavoro di... "crescita dei nostri figli"!
Detto sinceramente, è la prima volta che un Ente previdenziale aumenta così le pensioni: è un evento davvero più unico che raro nel panorama italiano, e l'ENPAP in questo sta assumendo un ruolo di leadership e di esempio anche per tutte le altre Casse professionali.
01 settembre 2016
Soccorritori, adesso è ora di prendersi cura di Sè...
I soccorritori delle prime squadre (professionisti e volontari di Protezione Civile, Croce Rossa, ANPAS, VVF, FFO, FFAA, etc.) che hanno operato con grande coraggio e responsabilità nell'area del sisma nelle ore e nei giorni successivi al terremoto, sono in gran parte stati ruotati e sostituiti dalle seconde e terze squadre.
Adesso, rientrati "a casa", hanno un'altra enorme responsabilità: verso sé stessi.
I soccorritori che hanno portato sulle proprie spalle un carico operativo ed emotivo così importante "per altri", adesso devono prendersi cura di sé, dei propri vissuti, dei propri compagni, delle proprie famiglie.
E' legittimo, è doveroso, è prezioso.
Sentirsi affaticati emotivamente, sentire un misto di emozioni positive (per il lavoro che si è stati capaci di svolgere) e negative (per i dubbi, le ansie, i vissuti di impotenza, i momenti dolorosi cui ci si è trovati ad assistere), sentire dentro di sé il desiderio di tornare per contribuire ancora, avere molte domande aperte: un turbinio di vissuti che chiunque sia stato in emergenze di questo tipo conosce purtroppo bene.
Ma adesso, anche prima di eventuali ritorni, è ora di prendersi cura di sé: si chiama "demobilizzazione", e l'esperienza internazionale evidenzia che è il modo migliore per garantire il benessere del soccorritore e di chi gli sta intorno (oltre a permettere un ritorno all'operatività più sicuro ed efficace).
Cosa fare? Vediamo alcuni punti veloci:
1. Alcuni pensieri, normalissimi e molto diffusi dopo un intervento "critico", possono purtroppo spingerci a "chiuderci". Ad esempio, moltissimi soccorritori (anche quelli che non lo ammettono pubblicamente :-D) hanno pensieri fastidiosi di vario tipo: "Quello che ho vissuto è stato così strano e difficile che è inutile spiegarlo. Io e gli altri colleghi che c’erano lo sappiamo, chi non c’era non può capire del tutto. Ho fatto tutto quello che potevo, eppure non è bastato. Come mi sento dentro, forse non lo possono capire nemmeno i colleghi, quasi non riesco a capirlo nemmeno io. Non voglio farmi vedere più debole o "complessato" degli altri, e ritornarci con la mente mi fa stare male..." Sono tutti pensieri NORMALI, FREQUENTI e sarebbe strano se non ci fossero! E' la nostra mente che cerca, dopo un impegno "fuori dall'ordinario", di ridare senso, ordine e significato al caos di emozioni, vissuti e situazioni difficili che abbiamo vissuto. In psicologia dell'emergenza, si evidenzia da sempre che sono semplicemente: "Reazioni normali davanti ad eventi anormali".
2. Può essere altrettanto frequente e normale, nei giorni successivi al rientro, scoprire di "avere la testa sempre lì", continuare a ripensare a persone od eventi specifici, cercare continuamente informazioni sui giornali e alla televisione, sentirsi nervosi e irritabili, avere problemi di sonno o di appetito, avere alcuni screzi famigliari o lavorativi. Anche qui: può essere spiacevole, ma è assolutamente nella norma. Il "rientro alla normalità" richiede una fase di "ri-adattamento" dopo l'iperattivazione che abbiamo vissuto in emergenza, ed è spesso accompagnata da vissuti di questo genere.
3. E' spesso molto utile, e fortemente consigliabile, partecipare alle iniziative di supporto emotivo post-intervento organizzate dalla propria Istituzione/Ente/Associazione, che sia Demobilization, Defusing o Debriefing (solitamente condotte da psicologi qualificati).
4. Lasciare il tempo "ai propri muscoli emotivi, fisiologicamente affaticati per quanto hanno dovuto sollevare" (mi si perdoni la metafora semplice, ma è forse la più efficace) di riposare e riprendere la propria funzionalità, senza pretendere o fare finta che "non sia successo niente".
5. Importante condividere dubbi, storie e vissuti con i colleghi che hanno operato con noi: probabilmente anche loro hanno vissuti simili ai nostri, ed condividere e parlare insieme dell'esperienza vissuta, con rispetto per le posizioni di tutti, è utilissimo sia per i singoli che per la coesione del team. E' il "terzo tempo" dell'emergenza, ed ha una sua fondamentale importanza.
6. Ripristinare il prima possibile la "routine" quotidiana, assaporarla, godersi le piccole cose positive della propria quotidianità: l'uscita con gli amici, bel tempo passato a giocare con i figli, la buona notte di sonno, la cena speciale preparata con cura....
7. Concedersi tranquillità, e soprattutto... piccole ma significative gratificazioni! Hai fatto tanto, hai sostenuto carichi emotivi molto "pesanti e affaticanti", ora di devi concedere, tu per primo, un buon riconoscimento per quanto hai fatto. E' il momento ideale per farsi un regalo importante, per godersi una breve vacanza, per togliersi una piccola soddisfazione rimandata da tempo - e ripetersi che ce la si merita proprio.
Ma se sto ancora "male" (ansie, insonnia, pensieri continui), anche dopo molti giorni?
In primo luogo, state tranquilli: può capitare a chiunque, e non implica nulla sulle vostre capacità di soccorritore. Anzi, tra gli operatori del soccorso di tutto il mondo, è forse la “problematica” più diffusa.
Fondamentale ricordare che, nella grande maggioranza dei casi, si tratta di reazioni acute, ma transitorie (qualche settimana al massimo). Ed anche in caso "sfortunato", possono essere adeguatamente gestite da un punto di vista psicologico e psicoterapeutico! E' quindi importante pertanto prendersi i propri tempi, evitare la sindrome dell"Uomo (o della Donna) che non deve chiedere mai", e parlarne con partner ed amici fidati. Importante anche evitare di "berci sopra", o di "autoprescriversi farmaci"... fa solo male, ed il problema rischia di rimanere congelato ed irrisolto.
Ricordatevi che le cosiddette reazioni "post-traumatiche" NON colpiscono affatto i più "deboli", ma di solito chi ha "dato di più" e si è quindi più esposto alla fatica emotiva della situazione. Potete parlarne con il medico di base o con uno psicologo, chiedendo eventualmente di essere indirizzati ad uno specialista, che può aiutare a rielaborare quanto è successo: prima lo si affronta, prima si può risolvere e riprendere a stare meglio. E ricordate che normalmente, per i disturbi post-traumatici, la sola farmacoterapia è meno efficace della psicoterapia o dell’associazione farmacoterapia-psicoterapia.
E se un collega mi sembra che stia molto male?
In primo luogo, lasciargli il suo tempo; ciascuno reagisce in maniera assolutamente personale, e si tratta solitamente soloo di una reazione diversa, ma non necessariamente migliore o peggiore della nostra. Se vuole parlare di quanto avvenuto, ascoltalo con attenzione e rispetto: ci parla di vissuti che potrebbero essere anche i nostri... Se vedi che le sue difficoltà sono forti e durature (settimane o mesi), prova ad accennargli - con delicatezza ma anche chiarezza - alla possibilità di contattare un professionista psicologo per valutare meglio la situazione. Ricordagli e (ricordati tu per primo !) che sono solo... reazioni normali ad eventi anormali, e che anche in caso creino sofferenza possono essere risolte ed elaborate bene con un adeguato supporto psicologico.
In sintesi: hai fatto tanto per curarti di altri, ora ti meriti di prenderti cura anche di te stesso.
Ed una cosa si deve sottolineare con forza: IL SOCCORRITORE CHE NON "SI RISPETTA" E NON SA PRENDERSI CURA DI SE', E' UN PESSIMO SOCCORRITORE.
24 agosto 2016
Terremoti e Cultura della Sicurezza: una sfida impossibile?
Il terremoto di Amatrice riporta a tutti la memoria al sisma, analogo per magnitudine e contesto geografico, de L'Aquila. La differenza principale è rappresentata dalla struttura della serie sismica, dalle profondità degli ipocentri e dalla diversa urbanizzazione: L'Aquila centro urbano molto abitato, l'area del Reatino con una urbanizzazione molto più diffusa e leggera.
Se davanti ai regolari terremoti che colpiscono il nostro paese la paura è normale e fisiologica, rimane meno fisiologica la situazione della preparazione e della "cultura" dell'emergenza in Italia.
Nonostante il nostro paese sia notoriamente uno dei pochi al mondo ad essere esposto praticamente a qualunque tipo di disastro naturale possibile (terremoti, inondazioni, dissesti, tsunami, trombe d'aria, frane, subsidenza, vulcani...), e vi sia ampia conoscenza di aree e fenomeni a rischio, il livello medio di preparazione della cittadinanza rispetto alle basilari misure di prevenzione e protezione rimane ancora troppo basso.
Molti residenti di aree a rischio non sanno cosa fare davanti ai principali tipi di rischio; quasi nessuno predispone zainetti di emergenza o contatti fuori area; raramente si parla ai bambini di come comportarsi se succede qualcosa. La conoscenza dei Piani di Protezione Civile locale è minima, nella popolazione. Pochissimi "esterni" al Sistema di Protezione Civile hanno anche solo un'idea di come funzioni, come sia organizzata, come si possa collaborare utilmente ai soccorsi.
Ancora più grave, troppo spesso si commettono leggerezze imperdonabili nel settore edilizio od urbanistico, sentendosi magari "furbi": costruzioni in aree golenali a rischio alluvionale, variazioni edilizie che non rispettano la normativa antisismica, utilizzo di materiali edili scadenti "per risparmiare" (con strizzatina d'occhio tra costruttore e proprietario - che sarà però poi il primo a lamentarsi dei danni in caso di terremoto). Ancora poco o per nulla diffuse forme assicurative contro danni da calamità naturali, ancora troppe bufale pseudoscientifiche che circolano in merito ai terremoti.
Ogni tre-quattro anni abbiamo un'emergenza significativa in Italia; l'attenzione pubblica rimane alta alcune settimane, poi tutto va nel dimenticatoio fino alla tragedia successiva.
I processi sociali e psicologici che ne stanno alla base sono conosciuti, legati a dinamiche di risk perception e risk communication ben note, ad una serie di bias cognitivi e a processi di costruzione di significato collettivo che sono funzionali per contenere l'ansia nel breve termine, ma spesso disfunzionali per la protezione "reale" a lungo termine. Su questo, il contributo della psicologia allo sviluppo di cultura stabile di "prevenzione" nel tempo, e non solo di intervento di soccorso nell'evento acuto, è fondamentale.
Insomma, se il Sistema di Protezione Civile nazionale negli ultimi 20 anni ha fatto tanto, sviluppando un insieme di pratiche, procedure, strutture organizzative territoriali molto diffuse (ogni paese ha ormai un nucleo di Protezione Civile), la "cultura della sicurezza" diffusa purtroppo arranca ancora molto.
Ben vengano quindi iniziative importanti, come quella di "Terremoto, io non rischio" promossa proprio dal Dipartimento di Protezione Civile nazionale, e che negli anni ha portato nelle piazze di tutta Italia eventi di formazione, informazione e sensibilizzazione molto ben organizzati (con il concorso di molto volontari qualificati di tutta Italia; segnalo il contributo particolare dato da "Psicologi per i Popoli"); ma il problema è forse più ampio.
L'ancora troppo frequente atteggiamento "fatalista, furbacchione e menefreghista prima - aggressivamente confuso e rivendicativo dopo" è ancora troppo tipico davanti ai rischi ed emergenze. Eppure basta relativamente poco, per cambiare mentalità; e soprattutto, in un territorio come quello italiano, non abbiamo scelta se non di farlo. Su questo i media, le istituzioni, e le scienze sociali (psicologia sociale e di comunità in primis) possono e devono fare la loro parte.
23 giugno 2011
Nuovi appuntamenti di psicologia dell'emergenza.
1. Dal 1 al 3 Luglio, nella bella locazione di Cisano sul Neva (vicino ad Albenga), Psicologi per i Popoli Torino organizza un seminario intensivo con Erik De Soir, noto psicotraumatologo belga, sul tema del classico Modello Crash e del - attuale - supporto psicologico a rifugiati e richiedenti asilo. Tre giorni di lavoro intensivo, con la partecipazione di diverse organizzazioni di soccorso e sessioni didattiche articolate. Maggiori informazioni qui.
2. Il 9 e 10 luglio, a Bologna, Psicologi per i Popoli - Emilia Romagna organizza un workshop sul Lutto e Lutto Mancato: due giorni di formazione specializzata sui principali temi dell'elaborazione del lutto, con particolare attenzione ai temi tipici dell'emergenza (il lutto traumatico, complicato e mancato). Informazioni e schede informative sul sito di PxP ER.
3. Per settembre, è già in preparazione la nuova edizione del Campo Nazionale di Psicologia dell'Emergenza di Rovereto... aggiornamenti a breve.
Per scusarmi del ritardo di aggiornamento di queste ultime settimane, a breve inserirò una serie di news e approfondimenti piuttosto... interessanti !
Un saluto,
Luca
3.
19 aprile 2011
Maggio convegnistico, da Sondrio alla Sicilia
1. Sondrio, 6 maggio
Il primo, che si terrà il 6 maggio a Sondrio, è il convegno "Le Azioni dello Psicologo nelle Emergenze": una giornata intensa di scambi e riflessioni sul senso operativo e l'articolazione tecnica delle attività psicologiche nei contesti emergenziali. Il Convegno vedrà al mattino una serie di riflessioni teoriche, ed al pomeriggio una forte partecipazione di rappresentanti ed operatori tecnici dei diversi versanti del sistema del soccorso, che porteranno le loro testimonianze esperienziali. Il Convegno è organizzato da PxP Sondrio. Maggiori informazioni qui.
2. Giornate Siciliane di Psicotraumatologia, 21-22 maggio
La seconda edizione, dopo quella del 2009, delle Giornate Italiane di Psicotraumatologia si terrà nella bella cornice di Piazza Armerina (EN), il 21-22 maggio.
Il Convegno, dall'elevato profilo di partecipazioni internazionali (interverranno alcuni dei più noti e prestigiosi esponenti della tradizione psicotraumatologica europea, in particolare francese), si focalizzerà sul delicato e complesso tema "Trauma, memoria e narrazione": ovvero, il "dare senso" agli eventi che deprivano di senso l'esperienza di vita.
Il Convegno si aprirà il primo giorno con la lectio magistralis di F. Lebigot, si svilupperà attraverso una serie di interventi interdisciplinari, e si concluderà il secondo giorno con due workshops tecnici avanzati, tenuti da E. De Soir e F. Ducrocq, in merito al supporto psicologico in emergenza a vittime e soccorritori secondo i protocolli francesi e belgi.
Le "Giornate", organizzate da Psicologi per i Popoli - Sicilia, si propongono quindi come uno dei principali eventi congressuali del settore psicotraumatologico nazionale di quest'anno. Maggiori informazioni qui.
Saluti,
Luca Pezzullo
29 marzo 2011
Ancora sul Giappone, ed alcuni approfondimenti tecnici
La complessità dei NaTechs, le loro difficoltà gestionali, e le loro enormi implicazioni a livello di pianificazione e prevenzione del rischio territoriale, sono stati ampiamente confermati in quello che purtroppo diverrà sicuramente IL caso di studio per eccellenza per i decenni a venire in questo settore.
Consiglio, per una buona introduzione tecnica al tema dei NaTech, l'ampia sintesi del JRC (ottima, come è del resto sempre ottimo il livello qualitativo medio della ricerca e della documentazione dell'Istituzione europea di Ispra).
La "risk communication", invece, sembra essersi degradata significativamente da parte degli attori istituzionali e dagli stakeholders tecnici. La TEPCO purtroppo ha assunto un atteggiamento estremamente difensivo, ed il governo a sua volta si è trovato a fare da "catena di trasmissione" di informazioni spesso smentite poche ore dopo: il comportamento negativo classico, che causa - in poche ore o giorni - la deplezione di tutto l'essenziale patrimonio di "Trust" accumulato davanti al corpo sociale in mesi o anni.
Il problema è che per cercare di gestire in maniera tranquillizzante - in modo fallimentare - poche ore di processo comunicativo pubblico, così facendo si va a ipotecare l'intera affidabilità dei messaggi successivi e della veicolazione informativa nei giorni/settimane successiva, con rapido degrado della fiducia pubblica nei decisori ed attori istituzionali.
Un autogoal strategico di comunicazione del rischio, che si è visto troppe volte in questi anni in tutto il mondo, e che sembra ripetersi, deprimentemente, anche in contesti come quello giapponese, in cui la dimensione della previsione/prevenzione è ai massimi livelli internazionali.
Sul tema, ampiamente studiato dalla psicologia sociale dell'emergenza, rimando all'interessante approfondimento tecnico del Department of Energy Statunitense:
(ma si trovano numerosi riferimenti in letteratura scientifica, basta fare una breve review con Google Scholar).
Resilienza e coping di comunità: dopo i primi giorni di emergenza, dove la solida preparedness pregressa e la disciplina sociale del paese hanno retto bene, si è diffusa molta insicurezza a livello collettivo (da un lato - ovviamente -, per la marcata evolutività del rischio di contaminazione da radionuclidi, ma dall'altro anche a seguito dei processi di risk communication malgestiti con l'evolversi della situazione, e della relativa perdita di trust). Questo potrebbe avere effetti a medio-lungo termine sulla resilienza di comunità, soprattutto adesso che sembra che siano state riscontrate le prime fughe di Plutonio dall'impianto (con tutti i "fantasmi" e le profonde rappresentazioni sociali di rischio che questo può ovviamente attivare a livello comunitario, aldilà della generica rassicurazione "di default" dell'istituzione di riferimento).
Luca Pezzullo
15 marzo 2011
Giappone
La contemporanea attuazione di gravi rischi naturali e tecnologici (quelli che nei disaster studies sono chiamati, da anni, NATECH, Natural-induced Technological Disasters) sta configurando un evento catastrofico di proporzioni epocali, che ha e avrà enormi impatti a lungo termine sociali, economici, culturali, psicologici.
Uno dei più grandi terremoti della storia (9 Richter significa infatti – anche se è difficile solo immaginarlo – un’intensità sismica di quasi 27.000 volte, ventisettemila, di quella del Sisma dell’Aquila) ha causato un gigantesco maremoto su un fronte di 300 km, che ha sua volta ha fatto saltare i sistemi di sicurezza di una complessa serie di impianti nucleari già danneggiati dal sisma.
Difficile immaginare la complessità gestionale di un evento macroemergenziale come questo, che mette ovviamente a dura prova anche un sistema di emergency management avanzatissimo e completo come quello giapponese.
Sembra uno di quegli scenari "WTC" (Worst-Case Scenarios) che, quando vengono utilizzati nelle simulazioni degli enti di soccorso, vengono a volte liquidati da molti soccorritori stessi come "state esagerando, dai".
E invece, questo LPHC Event (Low-Probability, High-Consequences) è avvenuto, e sta avendo conseguenze ancor più ampie e gravi di quanto si potesse pensare.
Alcune osservazioni di base si impongono, e si potranno sviluppare in seguito, con l’evoluzione della situazione.
In primo luogo, la popolazione locale ha reagito fin dal primo momento in maniera straordinaria, adattativa e resiliente. L’enfasi nipponica, quasi ossessiva, sulla costruzione di una “cultura della sicurezza” davanti al rischio sismico (elevatissimo da sempre, in Giappone) ha permesso probabilmente di salvare centinaia di migliaia di vite.
Costruzioni e infrastrutture costruite con grande rigore e materiali di altissima qualità, secondo alcuni dei criteri antisismici più restrittivi del pianeta; una popolazione pronta, preparata e profondamente sensibilizzata al problema della sicurezza, dai bambini agli anziani; una “cultura dell’emergenza” diffusa in tutte le realtà organizzative; un’enfasi unica al mondo sulla prevenzione/preparazione al sisma (con esercitazioni continue, addestramenti e controlli); sistemi di allerta, early warning, e coordinamento avanzati; una rete di soccorso complessa e articolata hanno permesso di ridurre in maniera enorme quello che poteva essere l’impatto potenziale di un multievento complesso di simile entità, magnitudine, diffusione spaziale, articolazione funzionale.
Una situazione del genere in altri paesi avrebbe verosimilmente creato danni estremamente più diffusi.
L’empowerment e la resilienza di comunità sono altri due elementi essenziali, di forte interesse per una comprensione dei processi psicologico-emergenziali coinvolti nella situazione in progress.
La grande disciplina della popolazione nelle aree affette, la sua “preparazione” (anche psicologica) all’emergenza, lo stimolo all’attivazione delle risorse locali in congiunzione con quelle nazionali e sovranazionali sono fattori fondamentali in merito a quello che stiamo vedendo a livello di emergency management sul territorio, ed ha permesso un forte sostegno ad azioni e comportamenti finalistici, strutturati e strutturanti di tipo auto- ed eteroprotettivo nella collettività sociale.
Sul tema della comunicazione sociale del rischio, seppur con molte critiche (inevitabili, in una situazione del genere), il governo sembra comunque aver assunto una logica informativa “sufficientemente” adeguata a quelli che dovrebbero essere gli standard ideali in situazione emergenziale, con informazioni continue ed in tempo reale condivise con la popolazione.
Altri punti importanti emergono palesemente.
Da un lato, il “fantasma delle radiazioni”, è un tipo di pericolo che ovviamente tutte le ricerche in ambito di “risk perception” hanno sempre considerato essere tra i più forti, anche perché ha proprio quelle specifiche “caratteristiche funzionali” che la tradizione di ricerca sperimentale del cosiddetto “paradigma psicometrico” (Fischhoff, Slovic, Finucane, etc.) ha mostrato essere correlate alla massima varianza nella rappresentazione di maggiore rischiosità: ovvero, primariamente i fattori di “Dread”, e poi quelli di “invisibilità”, “non controllabilità” e (secondo Sjoberg) di “Innaturality” dello stimolo pericoloso.
Ma questa analisi di tipo “cognitivo” non può dimenticarsi della dimensione simbolico-rappresentativa ed affettiva profonda del pericolo nucleare che si materializza per una popolazione come quella Giapponese, che del “nucleare” e delle “radiazioni” ha ovviamente una fortissima stratificazione rappresentativa *reale* dopo la seconda guerra mondiale. E’ un “fantasma” che, in quel contesto, può quindi fare addirittura molti più danni psichici e psicosociali che in qualunque altro paese del mondo.
Altro punto, su un altro versante, è quello relativo ai processi protettivi di empowerment sociale diffuso, che certe modalità di condivisione informativa (anche legate alle nuove tecnologie 2.0) potrebbero aver contribuito ad attivare in strati significativi della popolazione. Ma di questo cercherò di scrivere in un post successivo.
10 febbraio 2011
Medaglia della Protezione Civile Nazionale a Psicologi per i Popoli
Il riconoscimento va a tutte le centinaia di psicologi italiani che hanno generosamente prestato la propria opera volontaria in tale complesso contesto, in decine di campi, per migliaia di giorni/lavoro.
(nella foto, il Capo Dipartimento della Protezione Civile nazionale Franco Gabrielli consegna l'onorificenza al Presidente di Psicologi per i Popoli, Luigi Ranzato)
Luca
07 febbraio 2011
Aggiornamenti: Lancet, NCPTSD e CRED
1. Da leggere, sull'ultimo numero di Lancet, un interessante editoriale sulle problematiche organizzative e di sanità pubblica legate ai disastri naturali. Riflettendo sulla ben nota problematica del "disaster divide", ovvero del fatto che, solitamente, nei paesi sviluppati i danni dei disastri impattano maggiormente a livello economico-finanziario, mentre nei paesi in via di sviluppo soprattutto a livello di vite umane, e evidenziando alcuni paradossi legati ai recenti avvenimenti mondiali (Haiti, Cile, Pakistan, etc.), Lancet rilancia gli appelli ad una migliore azione di prevenzione strutturale ed a lungo termine degli impatti negativi nei PVS, oltre ad una - da tanti richiesta da anni - attività di coordinamento / accreditamento delle ONG internazionali, operanti in maniera spesso generosa ma troppo confusa e scoordinata, in seguito ai grandi disastri mondiali.
2. Interessanti news dal NCPTSD, sul versante psicotraumatologico: dal sito sono accessibili update sull'efficacia di alcuni trattamenti psicofarmacologici del PTSD strutturato, e comparazioni sul tasso di efficacia delle due uniche forme di psicoterapia cognitivo-comportamentale che il NCPTSD eroga tramite le sue strutture:
la Prolonged Exposure (di derivazione comportamentista) e la Cognitive Processing Therapy (di derivazione cognitivista); tali forme di psicoterapia risulterebbero più efficaci del solo trattamento farmacologico.
3. Segnalo inoltre, in collegamento con la prima notizia, il sito del CRED belga, il Centre for Research on the Epidemiology of Disasters. Il sito è un "classico" del settore, consultato dagli studiosi di disaster studies di tutto il mondo, e che ho già segnalato tempo fa sul blog; la nuova versione del sito è molto più "ergonomica", facilmente navigabile, e permette di avere accesso ad un'ampia serie di datasets e materiali informativi - continuamente aggiornati - sui disastri e le grandi emergenze a livello internazionale.
A presto, con il calendario delle prossime iniziative scientifiche e convegnistiche italiane nell'ambito della psicologia dell'emergenza e della psicotraumatologia !
Luca Pezzullo
04 gennaio 2011
Buon anno ! ...e alcune news !
Col nuovo anno, e ad emergenze idrogeologiche concluse in Veneto, riuscirò finalmente a effettuare un aggiornamento regolare dello stesso.
Come avvio di 2011, alcune brevi ma interessanti news di settore !
1. Siete su Facebook ? Vi segnalo un interessante gruppo di aggiornamento informativo e cultura di protezione civile: Mattinale di Protezione Civile. Aggiornamenti regolari; allerte; articoli, notizie e approfondimenti tecnici di settore con cadenza quotidiana. Fortemente consigliato :-)
2. Convegno EGU di Vienna
L'EGU, European Geoscience Union (una delle principali associazioni scientifiche europee nell'ambito geologico e geografico) organizza ad aprile a Vienna il suo prossimo Convegno Europeo, comprendendovi un'importante sezione dedicata ai Rischi territoriali ed ai Natural Hazards: informazioni qui.
3. Diffusione dei trattamenti psicotraumatologici in ambito NCPTSD
Il NCPTSD Statunitense, forse il principale ente pubblico di ricerca psicotraumatologica mondiale, ha diffuso la notizia della pubblicazione sul Journal of Traumatic Stress (Journal of Traumatic Stress, 2010, 23, 663-673) e su Psychiatric Services (Psychiatric Services, 2010, 61, 1153-1156), ad opera di alcuni suoi esponenti, di alcuni dati interessanti sulla diffusione ed efficacia clinica dei protocolli cognitivo-comportamentali usati nel trattamento del PTSD dei veterani delle Forze Armate Statunitensi, rientranti dai teatri operativi di Afghanistan e Iraq (OEF/OIF).
I trattamenti selezionati e disseminati dal NCPTSD sono la Cognitive Processing Therapy e la Prolonged Exposure, strutturazioni aggiornate dei classici approcci cognitivi e comportamentali alla gestione della sintomatologia post-traumatica.
4. Ipotesi di eventuali collegamenti epidemiologici tra PTSD e Demenza ?
Alcuni recenti studi epidemiologici suggerirebbero (anche se non vi è allo stato una certezza conclusiva in tal senso, ed alcuni aspetti di tali studi necessitano indubbiamente ulteriori approfondimenti) l'ipotesi di un possibile collegamento tra PTSD e rilievo di una maggiore prevalenza ed incidenza di demenze in tarda età nei veterani statunitensi (Qureshi et al., (2010). Greater prevalence and incidence of dementia in older veterans with posttraumatic stress disorder. Journal of the American Geriatrics Society, 58, 1627-1633).
Il dato ovviamente è da considerare con la massima prudenza e cautela, ma potrebbe spingere allo svolgimento di futuri studi focalizzati sull'approfondimento degli eventuali correlati neurofisiologici delle sindromi post-traumatiche strutturate, e dei loro possibili effetti psicosociali e/o neurobiologici nel lungo termine.
A presto,
Luca
19 novembre 2010
Aggiornamenti
A breve, comunque, posterò gli aggiornamenti preparati già un pò di tempo fa.
Un saluto a tutti i lettori,
Luca
13 settembre 2010
Psicologia dell'emergenza in Russia e in Italia (Workshop internazionale a Milano)
Si tratta di un'occasione unica: per la prima volta in Italia vi sarà la possibilità di conoscere e confrontare le metodologie usate dagli psicologi russi in emergenza.
L'evento è promosso dalla Federazione Italiana Psicologi per i Popoli, e dall'Unità di ricerca in Psicologia dell'emergenza dell'Università Cattolica di Milano, con il patrocinio del Dipartimento nazionale della Protezione Civile - Presidenza Consiglio dei Ministri, della Provincia di Milano e dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia.
L'ingresso è gratuito, ma il numero di posti è limitato: è importate confermare la propria presenza; è previsto un attestato di presenza.
INTERVENGONO:
Maria Luisa De Natale, Luigi Ranzato, Mauro Grimoldi, Agostino Miozzo, Stefano Bolognini, Paolo Castelletti, Maria Kartseva, Antonina Lyashenko, Fabio Sbattella, Antonio Restori, Irina Kozlova, Sergey Tiunov, Rachele Baudino, Marisa Portoni, Rina Galeaz, Davide Piovesan.
Ulteriori informazioni qui.
Luca
31 agosto 2010
Ripresa ! :-)
Dopo una lunga pausa, prima per motivi lavorativi e poi per una lunga pausa estiva, ripartono gli aggiornamenti regolari del blog !
Quest'anno, tramite il blog, cercherò anche di effettuare un aggiornamento informativo sulle principali attività e incontri internazionali di settore, e svolgere un pò di review dei principali risultati della ricerca scientifica nell'ambito della psicologia dell'emergenza e della psicotraumatologia.
Parto, con una segnalazione telegrafica: se siete vigili del fuoco, o avete subito un evento emergenziale (incendi, terremoti, alluvioni) negli ultimi anni, avete la possibilità di partecipare ad una grossa ricerca internazionale sul comportamento umano in situazioni di emergenza: il progetto europeo BeSeCu, di cui partner italiano è l'Università di Bologna.
I partecipanti, volontari ed anonimi, potranno compilare un ampio questionario online sul tipo di esperienza personale o professionale vissuta: partecipandovi, potete fornire un utile contributo alla ricerca sui principali fattori comportamentali e culturali che si attivano in situazioni emergenziali.
Maggiori informazioni e link per partecipare alla ricerca:
Behaviour Security and Culture
A presto per i primi aggiornamenti post-estivi sulla letteratura scientifica !
Luca
26 aprile 2010
Per iniziare: seconda parte. Bibliografia ragionata.
Cosa studiare, per formarsi ?
Leggere libri non basta per diventare psicologi, tanto meno psicologi dell'emergenza. E del resto ovviamente non basta essere psicologi pur preparati, leggere un buon manuale, e trovarsi dall'oggi al domani esperto "psicologo dell'emergenza".
Un medico, pur laureato brillantemente, studiandosi solo a tavolino un manuale di medicina d'urgenza o frequentando un seminario formativo di un weekend, non potrebbe mai diventare dall'oggi al domani un esperto di medicina d'emergenza cui affideremmo le nostre vite; allo stesso modo, per essere esperti in psicologia dell'emergenza serve molta pratica, servono esperienze dirette, serve molta formazione approfondita, servono frequenti esercitazioni realistiche, serve andare "sul campo".
Ed è solo così che si diventa realmente "esperti" in qualcosa. Le scorciatoie non esistono, soprattutto quando ci si occupa di salute pubblica in situazioni di emergenza.
Ovviamente, questo non implica che lo studio teorico o i seminari formativi non possano essere utili; anzi, lo studio teorico approfondito è sempre base e fondamento di una corretta pratica professionale.
Solo, queste forme di apprendimento vanno considerate correttamente, valutando bene quello che possono fornire e quello che ovviamente non possono fornire.
Dire "sono un bravo psicologo, leggo un libro/faccio un seminario di due giorni, e poi vado a propormi come esperto di emergenze" sarebbe ovviamente paradossale; ma, giustamente, gli alti standard professionali ed etici a cui tutti gli psicologi sono tenuti impongono molto più che la lettura di un libro o l'ascolto di un paio di conferenze per potersi definire "esperti di qualcosa".
Ciò detto e precisato, esistono alcuni testi, abbastanza diffusi, che presentano in maniera adeguata i concetti fondamentali della teoria e della pratica della psicologia dell'emergenza; testi utili ai colleghi che vogliono avvicinarsi al settore, aggiornarsi, o valutare se approfondire la loro formazione in merito.
Ne elenco alcuni, senza pretesa di esaustività, ma indicandone alcuni che a mio parere possono essere di buona utilità intoduttiva. Quelli in inglese sono facilmente reperibili tramite Amazon o librerie internazionali.
Li suddivido per grandi aree tematiche; un buon psicologo dell'emergenza necessita - davvero - di una competenza di base in ciascuna di queste aree. Anche qui, non esistono scorciatoie !
Psicologia dell'Emergenza:
- Manuale di Psicologia dell'Emergenza. Fabio Sbattella. FrancoAngeli, 2009.
Un manuale eccellente, che introduce i concetti fondamentali teorico-applicativi della psicologia dell'emergenza in maniera chiara e rigorosa; analisi di letteratura, numerose indicazioni operative, e soprattutto un'approfondita riflessione critica sui temi e l'identità della psicologia dell'emergenza (aspetti che vengono presentati spesso in maniera un pò troppo stereotipata nella vecchia letteratura di settore), lo rendono un ottimo testo di partenza per avvicinarsi alla psicologia dell'emergenza, della quale aiuta a comprendere molto bene la "logica implicita", gli "spazi di pensiero" e le modalità applicative sul campo.
- Psicologia dell'Emergenza. Luca Pietrantoni, Luigi Prati. Il Mulino, 2009.
Il miglior manuale accademico attualmente disponibile in italiano sul tema della psicologia dell'emergenza. Il testo (che ho recensito un anno fa su questo stesso blog) affronta tutti i principali temi del settore, proponendone un'eccellente review della letteratura scientifica di merito, molto rigorosa ed aggiornata. Il testo fornisce soprattutto un'inquadramento teorico e scientifico, che permette di apprezzare anche la profondità della "ricerca-in-azione" in questo delicato contesto.
- L'Assistenza Psicologica nelle Emergenze. Bruce Young (et al.). Erickson, 2002.
Un testo classico, su cui molti della "vecchia guardia" si sono formati. Si tratta della traduzione italiana di un manuale operativo dell'Esercito Statunitense. Come tale, presenta utili indicazioni operative, ed una logica espositiva semplice e molto schematica. Ottimo per farsi rapidamente un'idea delle principali tecniche e modalità operative usate nel post-disastro, si presenta oggi come un testo un pò invecchiato, il cui limite maggiore risiede forse nell'assenza di riflessione teorica o critica: essendo un testo molto "operativo", non presenta spazi di elaborazione o approfondimento di merito. Consigliato come complemento allo Sbattella o al Pietrantoni.
Primo Soccorso Psicologico:
- Il primo soccorso psicologico nella maxi-emergenze e nei disastri. Luca Pietrantoni, Gabriele Prati, Luigi Palestini. CLUEB, 2008.
Il "Psychological First Aid", o "Primo Soccorso Psicologico", rappresenta una modalità di organizzazione degli interventi di sostegno psicologico nell'immediatezza del post-evento critico. Utile in particolare per fornire indicazioni operative semplici e chiare a soccorritori e personale operativo, è stato sviluppato in ambito anglosassone nell'ultimo decennio. Il breve testo di Pietrantoni e Prati ne espone in maniera chiara e articolata i concetti fondamentali e le modalità applicative. Come tale, si presenta come un ottimo complemento "pratico" per lo specifico degli interventi di supporto immediato nelle maxiemergenze (che comunque, come detto, è solo una piccola parte della psicologia dell'emergenza).
Psicologia della Sopravvivenza:
- The Unthinkable. Amanda Ripley. Three Rivers Press, 2009.
Un libro introduttivo, ma assolutamente eccellente, sul tema della psicologia in emergenza: tutti i principali processi psicologici di adattamento, sopravvivenza e gestione individuale e gruppale degli eventi critici sono descritti in maniera eccellente, scientificamente rigorosa ed al contempo molto articolata anche a livello di case-studies e "storie di vita". Scritto in maniera molto interessante, con continui rimandi tra analisi di caso e ricerca scientifica, il volume analizza molto bene tutto il range di risposte cognitive, psicosociali e comportamentali davanti ad eventi estremi, crisi ed incidenti. Testo obbligatorio per ogni psicologo dell'emergenza degno di questo nome !
- Deep Survival. Laurence Gonzales. W. W. Norton, 2004.
Un testo di introduzione e discussione sul tema della psicologia della sopravvivenza in contesti estremi, ricco di approfondimenti e case-studies. Un volume molto utile e interessante, ideale per avvicinarsi a questo settore specifico.
Psicologia del Rischio:
- Nuovi Rischi, Vecchie Paure. Rino Rumiati, Lucia Savadori. Il Mulino, 2005.
Un'introduzione chiara, sintetica ed aggiornata al tema della "percezione del rischio", fondamentale tema scientifico-professionale a cavallo tra psicologia cognitiva, ambientale e dell'emergenza. Il testo si basa prevalentemente sulle modellizzazioni di Paul Slovic e del cosiddetto "paradigma psicometrico della risk perception", che è stato di particolare rilievo nella storia dei "risk studies" internazionali.
Psicotraumatologia:
- Principles of Trauma Therapy. John Briere. Sage, 2006.
Un eccellente testo clinico: aggiornato, chiaro, scientificamente rigoroso, ricco di indicazioni clinico-professionali. Il volume copre tutti i principali temi concettuali e metodologici della "Trauma Therapy", in maniera a tratti sintetica ma sempre chiarissima ed esauriente.
Assolutamente consigliato, sia per i "novizi" che per i terapeuti esperti che vogliano bene introdursi all'argomento.
- Disturbo Post-Traumatico da Stress. William Yule. McGraw-Hill, 2002.
Lo Yule è un classico della moderna psicopatologia e nosologia del PTSD: il testo, di impronta fortemente cognitivo-comportamentale e di taglio clinico, è un'ottima introduzione all'argomento. La sua edizione originale è del 1999, quindi è leggermente invecchiato - ma rimane comunque una delle migliori trattazioni del tema disponibili in italiano.
- Nuove vie per uscire dal Trauma. Gottfried Fischer. Edizioni del Cerro, 2009.
Il testo di Fischer, uno dei principali psicotraumatologi europei, è un'interessante guida alla gestione clinica delle sindromi traumatiche, scritto in maniera veramente chiara, semplice e coerente. Pensato specificatamente per il giovane terapeuta che si avvicina per la prima volta all'argomento, presenta sinteticamente - e con forte taglio clinico-operativo - una serie di considerazioni, indicazioni e semplici tecniche per la facilitazione dell'elaborazione dei vissuti conseguenti all'evento traumatico. La semplicità e scorrevolezza dello scritto non è però disgiunta da un forte rigore teorico e professionale di fondo.
Data la sua notevole chiarezza espositiva, la sua relativa brevità, ed il suo taglio concreto, molte parti di questo testo possono essere utilmente usate (con le dovute accortezze, ovviamente) anche come testo di informazione/supporto per i pazienti ed i loro famigliari.
- Les Traumatismes Psychiques. Michel De Clercq, Francois Lebigot. Masson, 2001.
Un grandissimo classico della letteratura psicotraumatologica/emergenziale europea, è forse uno dei migliori testi mai scritti sull'argomento: solidità concettuale, completezza espositiva, ricchezza di notazioni cliniche unite ad una profondissima (e rara, in letteratura) riflessione teorico-critica sulla metapsicologia del trauma, è forse il testo-principe della scuola psicotraumatologica militare francese, una delle più importanti del mondo. Mentre solitamente la letteratura psicotraumatologica ha un forte orientamento cognitivo-comportamentale, questo testo si apre significativamente, e con grande rigore concettuale, anche a tematiche di tipo psicodinamico.
Attualmente non è più reperibile in commercio, ma gran parte del testo è fortunatamente consultabile online tramite Google Books.
- Comprendere il Trauma. Caroline Garland. Bruno Mondadori Editore, 2001.
Tra i recenti testi di orientamento dinamico sulla gestione clinica del trauma, questo è particolarmente significativo e di interesse: un'ottima trattazione della teoria dinamica del trauma psichico acuto, con numerose esemplificazioni cliniche, e rigorose riflessioni applicative derivate dalla più recente tradizione di ricerca ed intervento della prestigiosa Tavistock Clinic, sui temi di incidenti, eventi acuti, situazioni di crisi.
- Il Mondo Interiore del Trauma. Donald Kalsched. Moretti e Vitali, 2001.
In questo eccellente testo ad orientamento psicologico-analitico, Kalsched elabora un modello estremamente ricco e psicoterapeuticamente interessante sulle "situazioni traumatiche" (a partire dall'età evolutiva), che portano poi a strutturare, nel tempo, forme di sofferenza interna riattivabili anche da eventi acuti. L'elaborazione teorico-clinica di Kalsched è particolarmente rigorosa, innovativa e brillante, ed il testo è realmente di grande interesse per tutti i terapeuti che operino nell'ambito della psicoterapia traumatologica.
Psicologia del Lutto e della Morte:
- Il Lutto in Psicologia Clinica e Psicoterapia. Maura Sgarro. Centro Scientifico Editore, 2008.
Un testo chiaro e ben articolato sui temi della gestione clinica del lutto; i suoi diversi capitoli, ad opera di diversi contributori, coprono tutti i principali ambiti professionali e temi applicativi legati agli eventi luttuosi. E' il volume di riferimento per chi ha interesse professionale nell'area, ed è fortemente consigliato anche per clinici esperti.
- Imparare a dirsi addio. Eliana Adler Segre. Proedi Editore, 2005.
Un testo semplice e sintetico, ma mai banale, sull'accompagnamento alla "perdita dell'altro" ed all'avvio dell'elaborazione del lutto. Testo introduttivo, rivolto non solo a psicologi, ma anche a parenti ed altri operatori sociosanitari dell'area terminale, si presenta come molto utile - per chiarezza ed esemplificazioni operative - per i colleghi che si avvicinano per la prima volta all'argomento.
- La Nera Signora. Alfonso Maria di Nola. Newton-Compton, 2009.
Un'utile lettura complementare: è una trattazione amplissima, ricca e molto dettagliata del tema dell'antropologia della morte e del lutto. Il voluminoso testo tratta in maniera molto articolata degli aspetti simbolici, culturali e sociali - sia famigliari che comunitari - della morte, del cordoglio e del lutto. Ottimo per porre in prospettiva più ampia le letture specificatamente cliniche.
Psicologia culturale, immigrazione e violenze organizzate:
- L'Assistenza Terapeutica ai Rifugiati. Renos K. Papadopoulos. Magi Editore, 2006.
La necessità di comprensione degli aspetti culturali del trauma, e della specificità e complessità dell'intervento con rifugiati, profughi e richiedenti asilo (spesso vittime di tortura, abusi, lutti) è in rapida crescita anche in Italia. Il testo di Papadopoulos, uno dei massimi esperti internazionali del tema, presenta un'introduzione ricca e chiara all'argomento, con indicazioni operative e riflessioni teoriche di non poco spessore. Ottimo anche per chi si avvicina per la prima volta a tali questioni.
- Oltre la tortura. Aldo Morrone (a cura di). Magi Editore, 2008.
Un testo specifico, che deriva dalla grande esperienza del gruppo dell'IRCCS "San Gallicano" di Roma in merito alla presa in carico ed al trattamento dei rifugiati vittime di tortura. Tema assai delicato e difficile, che spesso è di faticosa gestione anche per i clinici più esperti; il libro descrive in maniera sintetica ma attenta i principali problemi del lavoro in questo setting duro e difficile, anche attraverso l'esperienza del San Gallicano stesso, delineando indicazioni molto utili per il clinico e le èquipe di cura che si trovano ad interfacciarsi con pazienti con queste drammatiche storie personali.
Psicologia militare e del terrorismo:
- Military Psychology. Carrie H. Kennedy, Eric Zillmer. Guilford Press, 2006.
Attualmente, lo standard internazionale nella manualistica sulla psicologia militare è rappresentato proprio da questo volume. Il testo si focalizza sulla presentazione e discussione della letteratura scientifica e professionale più aggiornata su tutte le sotto-aree della psicologia militare, sviluppando linee di lavoro molto interessanti, sia nel classico ambito clinico (la prima parte) che nella psicologia operativa (la seconda parte). Questo focus bivalente, unito al forte aggiornamento della letteratura di riferimento, lo rende un unicum nei testi di settore, ed un volume di estremo interesse per chi operi in questo contesto.
- Psychology of Terrorism. Bongar, Brown, Zimbardo et al., Oxford University Press, 2007.
Si tratta forse del miglior testo attualmente disponibile, a livello internazionale, sugli aspetti psicologici e psicosociali legati al terrorismo.
La prima parte fornisce così un'ampia introduzione teorica al problema del terrorismo, studiandone gli antecedenti storici, le forme di articolazione, e gli aspetti sociali, comunicativi e culturali in senso lato. Si approfondiscono poi i temi della "psicologia del terrorista", del terrorismo suicida e del percorso di costruzione di un'identità personale come "terrorista".
Si passa quindi ad analizzare gli effetti psicologici degli atti di terrorismo, visti sia a livello collettivo che a livello individuale. Interessanti, e del resto sempre più presenti in letteratura scientifica, i temi della resilienza individuale e di comunità davanti ad eventi critici, che ricevono ampia attenzione nell'ultima parte del testo.
Psicologia degli operatori del soccorso:
- In the Line of Fire. C. Regher, T.Bober. Oxford University Press, 2005.
Un volume denso e di ottimo livello nell'analisi e comprensione dei processi psicologici, di stress e trauma nel personale del sistema del soccorso. Il trauma secondario, ovvero quello che colpisce i soccorritori professionisti o volontari, può essere di difficile riconoscimento e gestione, e spesso viene sistematicamente sottovalutato dai soccorritori stessi. Il testo della Regher e di Bober è la migliore e più aggiornata sintesi internazionale sulla problematica, avente un particolare focus sui soccorritori professionali. La ricca analisi dei dati, il collegamento con case-studies e testimonianze sul campo, e l'ampio ventaglio di situazioni studiate lo rendono un testo utilissimo per chiunque operi, da un punto di vista psicologico, con gruppi di soccorritori.
Prossimamente, nuove aggiunte alla bibliografia tematica.
Buone letture !
Luca Pezzullo
Alcune indicazioni "per iniziare": Prima parte
Siccome mi trovo a rispondere spesso alla stessa domanda, ecco qui un sunto "una volta per tutte", diviso in tre parti ! :-)
In questa prima parte, alcune questioni preliminari e concettuali del settore, che è importante conoscere per avvicinarlo in maniera corretta; nella seconda parte, che sarà postata nei prossimi giorni, una lunga serie di indicazioni bibliografiche ragionate, sui diversi ambiti della psicologia dell'emergenza e della psicotraumatologia; nella terza parte - in preparazione - una serie di consigli operativi sui diversi contesti operativi ed associativi di settore.
PRIMA PARTE
1. Non confondete la psicotraumatologia con la psicologia dell'emergenza.
La psicologia dell'emergenza è qualcosa di più "vasto" e molto diverso rispetto alla psicotraumatologia, e troppo spesso si fa una certa confusione in merito (purtroppo, a volte anche tra gli addetti ai lavori). Questo non significa certo che uno dei due settori sia "migliore o più importante dell'altro"; ma è necessario comprendere bene le diverse aree teorico-metodologiche cui fanno riferimento.
La psicologia dell'emergenza infatti non è solo "psicologia clinica", ma è anche (e spesso soprattutto) psicologia sociale, psicologia dei gruppi, psicologia della comunicazione, psicologia delle organizzazioni, psicologia di comunità - tutte applicate, trasversalmente e integrativamente, all'ambito delle "situazioni di crisi".
Dunque, si tratta di un ambito complesso e variegato, "orizzontale" rispetto ai diversi ambiti, teorie e linee di lavoro psicologiche, e assolutamente non riducibile alla sola "clinica del post-emergenza", che ne è solo una piccola parte (per quanto significativa).
La psicotraumatologia, invece, è una declinazione specifica della psicoterapia nell'ambito dei traumi psichici. Dunque, un tema molto più specifico, e clinicamente orientato. Solitamente, inoltre, la psicotraumatologia si applica nel caso di disturbi clinicamente significativi (che solitamente sono più rari di quanto si pensa, anche in contesti di emergenza), a distanza di settimane o mesi dagli eventi critici, ed in setting individuali.
Ovviamente vi sono diversi punti di contatto e di "continuità operativa" tra intervento psicologico-emergenziale e intervento psicotraumatologico, ma bisogna evitare di confonderli indebitamente, proprio per massima chiarezza operativa, scientifica e professionale.
Mentre sicuramente non tutte le persone coinvolte da un evento critico necessiteranno infatti di un supporto specialistico psicoterapeutico-psicotraumatologico (anzi, dai dati statistici internazionali solo una piccola minoranza ne necessita clinicamente), forme di sostegno psicologico-emergenziale, e gli interventi "organizzativi" derivati dalla psicologia dell'emergenza, possono essere dirette a gran parte delle persone coinvolte da un evento critico - a livello individuale, gruppale e comunitario.
In altri termini: la sofferenza emotiva, avanti a situazioni critiche, è frequente e normale - e ce ne se ne può e deve prendere cura; ma questo non implica che la sofferenza sia o diventerà automaticamente una "malattia": la pur acuta sofferenza personale in situazioni di emergenza, diventa infatti una psicopatologia strutturata solo in rari casi (meno del 10% in media, secondo le rilevazioni epidemiologiche del NCPTSD, il più importante centro internazionale di ricerca in merito), nel qual caso può allora essere utile ed importante un intervento psicoterapeutico-psicotraumatologico.
2. Non basta saperne di psicologia, per essere bravi psicologi dell'emergenza.
Sembra ovvio, ma va sottolineato espressamente.
Essere psicologi competenti e preparati è ovviamente la base necessaria, ma non è sufficiente per essere un bravo psicologo dell'emergenza. Sono infatti anche altre le competenze professionali ed extraprofessionali che sono fondamentali per poter operare in maniera efficace e sicura in questo specifico contesto, così delicato, trasversale e complesso. Sul campo, contano molto anche competenze operative non ascrivibili alla sola psicologia dell'emergenza, o anche solo alla psicologia in generale.
Essere in grado di orientarsi nel sistema dei soccorsi; conoscere le sigle, le logiche, i linguaggi e le procedure di base di Protezione Civile e soccorso sanitario; sapersi interfacciare correttamente con le istituzioni, associazioni ed Enti preposti alla gestione dei soccorsi; conoscere e saper mettere in atto le regole di sicurezza operativa sul campo, o l'uso di DPI, etc., sono tutte conoscenze e competenze essenziali per lo psicologo dell'emergenza, che si trova ad operare, per definizione, in un contesto fisico e relazionale profondamente diverso da quello cui magari si è abituato nella sua pratica professionale "ordinaria". E la buona volontà non è in questo caso sufficiente: è necessaria una preparazione specifica, che parte anche da basi formative ed esperienziali non solo psicologiche.
Ad esempio, seguire integralmente un buon corso-base per volontari di Protezione Civile e/o soccorritore sanitario (con brevetto BLS/D), fornisce allo psicologo quella base "operativa" e di conoscenze/esperienze dirette del sistema di soccorso/emergenza che gli permetteranno poi di operare in maniera molto più orientata, consapevole ed efficace quando in emergenza si troverà sul serio. Se si vuole fornire una prestazione professionale rigorosa e di alto livello in questi contesti speciali, è questa una tappa formativa fondamentale.
Dunque, queste competenze e questa "identità" di soccorritore" -prima ancora che di psicologo - sono non solo utili, ma forse anche un vero e proprio pre-requisito fondamentale per poter poi andare a fare lo psicologo dell'emergenza, e saper interoperare efficacemente con tutti gli altri "attori funzionali" del sistema del soccorso.
3. In che aree psicologiche formarsi ?
Per fare gli psicologi dell'emergenza, non basta assolutamente saperne solo di "psicologia", o di "psicologia clinica", o essere psicoterapeuti.
Un vecchio e sbagliato luogo comune voleva che un bravo psicologo potesse essere ipso facto anche un bravo psicologo dell'emergenza, magari dopo essersi solo letto qualche libro, o seguito un breve seminario, in merito. Errore da matita blu !
Esattamente come il nostro tranquillo medico di famiglia non diventa automaticamente un superesperto da E.R. dopo aver seguito un breve seminario di pronto soccorso, uno psicologo (o psicoterapeuta) pur bravo difficilmente può trasformarsi in un grande esperto di emergenze dal giorno alla notte. Questo, pur essendo magari un ottimo psicologo, o un ottimo psicoterapeuta (anche migliore, in contesti non-emergenziali, di quanto sarebbe magari uno psicologo dell'emergenza).
Essere un buon psicologo, ed eventualmente un buon psicologo clinico e/o psicoterapeuta, è però ovviamente una base essenziale per essere poi un buon psicologo dell'emergenza. Insomma, la buona competenza di base è una condizione necessaria, ma da sola insufficiente.
Del resto, per fare poi buona psicologia dell'emergenza, non basta affatto saperne solo di psicologia dell'emergenza. Bisogna saperne (e bene) di psicologia generale, di psicologia sociale, di psicologia dello sviluppo, di psicologia clinica. E bisogna quindi approfondire, specificatamente, aree professionali di settore, quali: l'organizzazione dei servizi di emergenza, la psicologia della crisi emotiva, la psicologia del rischio, la psicologia della comunicazione di massa, le dinamiche organizzative in emergenza, la psicologia culturale, la clinica dei traumi, la psicologia delle comunità in situazioni di crisi, la gestione del lutto. Temi numerosi e complessi, ma non di meno essenziali nella gestione integrata ed efficace dei diversi aspetti dello scenario emergenziale.
Insomma, si necessita di una serie di competenze su tre livelli: in primis, competenze extrapsicologiche, sul sistema dei soccorsi e l'organizzazione delle emergenze. Poi, competenze psicologiche "di base", con una forte expertise trasversalmente ai diversi settori clinici e sociali "classici" della psicologia. Quindi, una serie di competenze molto specifiche ed applicative, sui versanti peculiari della psicologia dell'emergenza e degli eventi acuti.
Una formazione lunga, come si vede; non a caso, i corsi formativi di settore più seri e strutturati durano solitamente almeno un anno o due, per poter veicolare adeguatamente le principali competenze di merito. E sono assolutamente necessarie, nel tempo, anche numerose esercitazioni ed esperienze pratiche supervisionate, per poter tradurre in pratica l'apprendimento teorico (ed in questo settore, il contatto diretto con la complessità ed imprevedibilità dell'ambiente operativo è essenziale, forse ancor più che in altri campi).
Segue a breve la "seconda parte": bibliografie tematiche ragionate per avvicinarsi al settore.
Saluti a tutti,
Luca Pezzullo
17 marzo 2010
Haiti, aggiornamenti dagli operatori sul campo
Sempre ad Haiti, sul campo, ci sono da giorni i colleghi Fabio Sbattella e Paolo Castelletti, cui va un pensiero ed un augurio forte di buon lavoro.
Kristian ha inviato questa impressionante email di aggiornamento delle sue attività alcuni giorni fa a Fabio Rossi, Presidente di Psicologi per i Popoli Abruzzo; mail fatta poi circolare nell'ambito della Federazione Psicologi per i Popoli, e che pubblico qui col suo consenso (ed alcuni fix), al fine di dargli massima visibilità.
E' un pò lunga, ma credo che renda molto bene la drammaticità della situazione, soprattutto ora che "i riflettori si sono abbassati". Come spesso succede, la fase di "ripristino" e "recovery" a medio termine diviene molto più drammatica e complessa di quella del soccorso immediato, proprio perchè l'attenzione internazionale viene meno nel momento in cui invece servirebbero risorse specifiche e costanti.
Leggetela tutta. Non credo che servano altri commenti.
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Caro Fabio,
sono arrivato da una settimana e non nascondo che l’impatto con la situazione locale è molto duro.
Arrivando ad Haiti la situazione appariva devastante, ma solo il giorno dopo andando in giro in macchina per visitare le missioni delle suore Salesiane le dimensioni della tragedia si sono rivelate in tutta la loro grandezza, la città è una gigantesca tendopoli con oltre 900.000 senza-tetto che vivono alla giornata.
Oltre alle tende classiche arrivate da tutto il mondo e di tutte le dimensioni, ci sono tende fatte con i più svariati mezzi di fortuna, spesso sono lenzuola e cartoni appoggiati su pali di legno conficcati nella terra e ti lascio immaginare con la pioggia torrenziale di questi giorni cosa succede.
Quelli che non hanno una buona tenda o un riparo hanno poca scelta: o si bagnano o si rifugiano nelle case pericolanti che sono tantissime, sparse per tutta la capitale e molto pericolose. Le scosse continuano, per questo prima o poi ci saranno nuove vittime. I campi che sono nati spontaneamente intorno alle missioni delle suore sono 5 e tutti molto organizzati e più puliti degli altri, per questo continuano ad arrivare persone tutti i giorni. Gli aiuti promessi non sono sempre costanti, per esempio gli spagnoli che ci portano l’acqua potabile una volta a settimana sono in ritardo di 4 giorni!!!
Sono stato al campo del DPC (Dipartimento di Protezione Civile italiano) al Saint Damien dove ho incontrato molte facce note!!! Devo ringraziare molto Luigi D’Angelo che il giorno dopo che sono passato ci ha richiamato e ci ha mandato al magazzino della Marina Militare, dove la farmacista ci ha riempito tre jeep con scatoloni di medicinali e disinfettanti e li abbiamo portati ai nostri medici che ora hanno un'autonomia di almeno tre mesi.
La brutta notizia è che il DPC smobilita tra dieci giorni perché il loro compito era solo di dare sostegno alle ONG internazionali nelle prime fasi dell’emergenza.
Le suore salesiane vivono di donazioni e provvidenza e valorizzano ogni aiuto ricevuto con una grande esperienza, per questo sono molto rispettate dalla popolazione, anche perché sono presenti ad Haiti dal 1935, perfettamente integrate con la cultura e la lingua ed i risultati del loro lavoro nei campi appare subito evidente, rispetto ad altri dove non ci sono e non hanno la gestione. Inoltre la maggior parte sono di Haiti. Perfino a Petion-Ville dove c’era una grande struttura salesiana con laboratori scientifici e aule della scuola primaria e secondaria, che sono crollati, le suore vivono insieme a 70 famiglie che sono state accolte, curate e sfamate in un campo da calcetto il giorno stesso del terremoto.
Nel collegio Marie Regine, la direttrice è la mia compagna di università Haitiana, suor Anci che gestisce il campo da sola con altre 5 suore alle quali ora si aggiungono 2 volontari italiani di cui uno sono io. In più per fortuna da poco tempo si sono uniti anche alcuni collaboratori giovani del posto come animatori per le attività pomeridiane con i bambini e gli adolescenti. Il campo poco prima che arrivassi io aveva 8/9.000 persone, ora sono più di 10.000 e ci sono molte attività con i bambini di tutte le età, in tutto circa 2.000, di cui 300 sono da 0 a 5 anni, 7 sono nati nel campo dopo il terremoto.
Per fortuna il cibo e l’acqua ora li preparano con una cucina mobile i soldati dell’esercito Messicano, ma spesso durante la distribuzione dei pasti capitano problemi ed è pericoloso perché le persone sono cosi tante che spesso nascono liti durante la fila. Nella Citè Militare le suore gestiscono il campo con 3500 persone, organizzando assistenza generale, distribuzione di cibo e acqua ed è incredibile perché li sono solo 4!!!
Nella missione Maria Ausiliatrice ci sono 300 persone a dormire, più bambini che partecipano alle attività pomeridiane. Le suore tengono molto a queste attività perché aiutano ad impegnare il tempo e tenere lontano i giovani dalla strada, diminuendo il contatto con la criminalità, responsabilizzandoli e coinvolgendoli anche in microprogetti formativi.
Le baby gang sono numerose e quando assaltano una macchina lo fanno in gruppo e sono armati con pistole e machete e sono molto rapidi e violenti. L’unica cosa che resta da fare è lasciare tutto e allontanarsi rapidamente. Per questo motivo spesso si gira
scortati dai soldati dell’Onu quando si trasportano aiuti umanitari e non si distribuiscono più alimenti all’interno delle tendopoli.
Sono in programma anche attività psicosociali e di socializzazione per i bambini, per farli ambientare e a breve verranno organizzate attività manuali ed educative ma servono i principali materiali didattici che sono andati perduti con il terremoto. Il governo preme per la riapertura delle scuole anche se sono quasi tutte distrutte o inagibili, perché sa che tenendo impegnati i bambini e i ragazzi si gestisce meglio la criminalità, ma in un paese dove l’85% dell'educazione è privata e uno studente deve pagare il suo maestro, se si va a scuola quel giorno non si mangia.
Nel campo della missione della Casa provinciale, ci sono 924 persone.
Il cibo e l’acqua vengono distribuiti in pacchi per famiglie ogni 4 giorni, tutto viene rigorosamente registrato, per evitare sbagli, tipo doppie consegne. Viene data assistenza spirituale e sanitaria, in più ci sono i medici portoghesi sempre presenti nella casa con un PMA (Posto Medico Avanzato) fisso che visitano tutti i giorni e medicano i feriti. Sono stati fatti i vaccini a tutti gli adulti e ai bambini sia per il tetano che per la difterite. Questa mattina abbiamo distribuito 200 pacchi a mano tra le tende. In questo campo che è piccolino si può ancora fare.
Dopo la pioggia di questa notte il cibo in decomposizione e gli escrementi umani e animali nelle strade si sono liquefatti e hanno creato pozzanghere maleodoranti ovunque. Molte persone hanno dormito sul terreno bagnato e mentre qualcuno si preparava da mangiare, altri cercavano di lavarsi alla meglio utilizzando la stessa acqua per più persone, la cosa straordinaria è che queste persone dopo tutto hanno sempre il sorriso e una parola gentile.
Quello che colpisce invece sono gli occhi di alcuni bambini che sembrano spenti e lontani. Il silenzio con cui ti guardano fa più male di mille parole. Sono i più maltrattati, spesso abbandonati, quando non si riesce a sfamarli. I più grandi li picchiano per rubargli da mangiare, per questo se gli dai un pezzo di pane scappano a mangiarlo di nascosto.
All’interno della missione le suore hanno accolto 33 orfani che sono stati inseriti in un progetto educativo che si sostiene anche con le adozioni a distanza.
I principali generi di prima necessità mancanti sono sopratutto l’acqua potabile e occorrono urgentemente depuratori e ipoclorito. Il problema principale comunque resta sempre quello delle tende molto urgente!!! Ieri ho montato insieme a Michele, l’altro volontario italiano, alcune delle tende che abbiamo portato dall’Italia con la raccolta fondi. Molte tende sono da 2/3 posti e altre da 5/6 posti e non vi dico la gioia delle persone. Ma anche la speranza degli altri che guardavano e speravano di poter ricevere anche loro una tenda al più presto.
Quando arrivano delle donazioni di tende vengono consegnate solo alle famiglie o alle coppie che hanno deciso e promettono di convivere insieme, ma prima le suore si consultano con un comitato creato appositamente e composto dai rappresentanti del campo (ragazzi dell’Università di Haiti) che indica chi si è messo d’accordo ed ha più urgenza di una tenda, in questo modo si responsabilizzano le persone facendogli anche firmare un simbolico documento, dove si impegnano a non danneggiare la tenda perché è un prestito che un giorno dovranno restituire.
La cosa che fa più male in questo momento è vedere che da quando i riflettori dei media non sono più puntati su Haiti, gli aiuti umanitari sono calati drasticamente proprio ora che l’emergenza è più forte.
Inoltre questo è il paese della disorganizzazione e dello spreco. Ci sono centinaia di ONG di tutto il mondo che funzionano più o meno bene, ma non sono coordinate tra loro e ognuno si fa gli affari suoi portando avanti i suoi progetti. Quindi la sensazione forte che si prova è si potrebbero fare grandi cose e invece si rimane sempre in emergenza senza un programma e delle scadenze fisse perché nessuno dialoga.
Ho pubblicato qualche foto su Facebook e ho intenzione di aggiornare l’album una volta a settimana. Ti mando un grande abbraccio...
Kristian
08 marzo 2010
Psicologi dell'emergenza citati come esempio all'Udienza Papale
Oltre settemila volontari, di tutte le associazioni ed organizzazioni del sistema nazionale di Protezione Civile, sono stati ricevuti dal Papa in San Pietro.
Nel suo saluto, il Papa ha ricordato la professionalità e la forte valenza sociale dell'impegno esplicato dai volontari anche in occasione del sisma abruzzese.
L'aspetto che riguarda gli Psicologi categoria è semplice, ma significativo al tempo stesso: Bertolaso, nel suo discorso pubblico davanti al Papa, ha voluto ricordare l'impegno di tutti i volontari di protezione civile; ma di tutte le categorie professionali che hanno lungamente partecipato agli interventi di soccorso (medici, geologi, ingegneri...), ha scelto di citarne e ricordarne esplicitamente una... ovvero, proprio gli Psicologi.
In seguito, quando il Papa ha ricevuto personalmente una piccola rappresentanza di soccorritori (un volontario per ciascuna delle principali associazioni nazionali del soccorso), si è soffermato, assieme a Bertolaso, con la collega di Psicologi per i Popoli, rimarcandole di nuovo l'apprezzamento per quanto gli psicologi del volontariato nazionale di protezione civile avevano fatto a supporto dei cittadini colpiti dal sisma.
Si è trattato di un importante riconoscimento pubblico, di alto livello e molto positivo, per tutti gli Psicologi in quanto categoria professionale; un riconoscimento di stima e d'immagine ottenuto anche grazie all'impegno di tutti i numerosi colleghi che operano volontariamente, con preparazione, discrezione e serietà, nel sistema nazionale dell'emergenza.
Luca
11 febbraio 2010
Draft DSM-V: cosa cambia per il PTSD ?
Cosa cambierebbe per il PTSD, se il Draft fosse approvato così come è ?
In rapida sintesi, ecco i principali cambiamenti nosografici:
In primo luogo, la ridefinizione di "cosa è potenzialmente traumatico".
Un tema in effetti ampiamente discusso in letteratura, a volte anche in maniera vivace. La nuova definizione, da un lato, estende i criteri definitori (ricomprendendo e chiarificando in maniera utilmente esplicita - soprattutto a fini di certificazioni medico-legali - alcuni aspetti legati ad esempio alle violenze sessuali), dall'altro amplia (molto) i criteri di esposizione indiretta. Da un lato questo è positivo, aprendosi alla ricomprensione della "traumatizzazione dello spazio rappresentazionale" e non solo dell'esposizione diretta all'evento come potenziale fattore causale; dall'altro, rischia forse di estendere un pò troppo il criterio, che così diventa molto ampio.
Poi, una ristrutturazione dei Cluster sintomatologici.
In primo luogo, trasversalmente ai tre macrocluster (Intrusione - Evitamento/Numbing - Hyperarousal), vi è una riduzione media del numero di sintomi richiesti per l'identificazione positiva della sindrome. Da un lato questo è positivo, perchè permette di evitare certe rigidità pregresse nel caso di sintomatologie palesi su quasi tutti i criteri, ma con l'assenza di un solo sintomo di sottocluster per la possibilità di porre la diagnosi formale; dall'altro, questa maggiore flessibilità clinica (in particolare per l'età evolutiva), rischia di creare un leggero rischio di falso positivo, in particolare per quanto riguarda i cluster Intrusione e Evitamento.
A questo proposito, il vecchio cluster Evitamento/Numbing è stato finalmente (e questo è ottimo) suddiviso nelle due aree funzionali di "evitamento" e di "alterazioni cognitive ed emotive significative" (ex-Numbing), forse più clinicamente e nosograficamente utili. Quest'ultima area assume tra l'altro un rilievo significativo nella "quantificazione relativa" dei sintomi positivi che sono richiesti per porre la diagnosi.
Ottimo finalmente l'inserimento chiaro e netto del discorso "self-blame" (autocolpevolizzazione), e degli stati emotivi negativi persistenti (assimilabili, seppur con molte differenze, al costrutto di "nevrosi traumatica" della scuola psicotraumatologica francese; ed in minima parte di DESNOS - vedi dopo).
Il criterio E vede due inserimenti potenzialmente molto positivi (centrali ed un pò troppo neglette finora, e forse anche focalizzate meglio nell'attenzione dei clinici dai problemi dei veterani militari statunitensi di questi anni): l'inserimento dei comportamenti "auto-distruttivi" (all'interno dei quali si potranno probabilmente annoverare o collegare anche i comportamenti di abuso di sostanze - così frequenti nelle situazioni post-traumatiche, e però non espressamente citati in collegamento a questi nel DSM, forse per il desiderio di evitare sovrapposizioni funzionali nosografiche), e la chiarificazione esplicita delle "condotte aggressive" (molto spesso espresse in ambito famigliare e sociale).
In sintesi, si tratta una ristrutturazione dei cluster in gran parte interessante e condivisibile, che va anzi finalmente a restituire un ruolo importante ad una serie di corredi sintomatologici centrali nell'osservazione clinica, ma che erano rimasti un pò in secondo piano nelle classiche schematizzazioni nosografiche.
Sulla struttura generale delle sindromi post-traumatiche: è stata eliminata la distinzione PTSD Acuto / Cronico, per la ridotta evidenza empirica di tale distinzione formale. Rimane invece il costrutto nosografico di PTSD Delayed Onset, leggermente meglio chiarito (seppur anch'esso è stato oggetto di dibattito critico-scientifiche in passato).
Non è stato introdotto invece il DESNOS (Disorder of Extreme Stress Not Otherwise Specified), che era stato proposto per l'ìnserimento alcuni anni fa: forse per la sua eccessiva "continuity" rispetto agli aspetti Borderline su Asse 2, e per il dibattito critico ancora irrisolto rispetto alla sua precisa definibilità clinica; alcuni suoi aspetti sono forse riassumibili (seppur molto parzialmente) con l'inserimento del criterio degli stati emotivi negativi persistenti.
Insomma, pur con tutti i suoi possibili limiti, sembra che il DSM-V faccia un piccolo ma significativo passo avanti nella direzione di una migliore formalizzazione descrittiva della clinica dei disturbi post-traumatici.
Un saluto,
Luca Pezzullo